martedì 14 febbraio 2012

Un minuto? Il massimo che si può chiedere alla perfezione. Figuratevi quanto di imperfetto ci possa essere in 27...


Un minuto è il massimo che si può chiedere alla perfezione” spiegava al suo doppio, Tyler Durden, protagonista di “Fight Club”. Sessanta secondi. Non di più. Figurarsi quanto di imperfetto si possa trovare in ventisette minuti. Senza contare il recupero.

Rapida, deludente, inutile, scontata. Quante immagini sprecate per tentare di descrivere questo Catania-Roma: molto più simile ad un film muto degli anni '30, che, infatti, delle immagini accelerate faceva una delle gag più abusate, che a una partita di calcio.

Matta, il termine utilizzato da Luis Enrique pochi secondi dopo il triplice fischio finale, sembra l'aggettivo più calzante. Perché in questi pazzi 30 minuti di calcio giocato ad un ritmo da cardiopalma, per giocatori e tifosi, si è visto di tutto. Occasioni da rete a ripetizione, un miracolo per parte dei portieri, poi errori, giocate, calci d'angolo. Persino due infortuni: uno in campo, quello di Almiron, l'altro, quello di Potenza, ancora prima che iniziasse la partita. Frutto di un riscaldamento fin troppo intenso.
Alla follia, però, si deve necessariamente rispondere con la follia. Meccanismo che Luis Enrique conosce fin troppo bene. E allora spazio a un tridente che, almeno per età, sembrerebbe molto più adatto al torneo di Viareggio che ad una delicata gara di Serie A. Schierare Borini, classe 1991, Lamela, classe 1992, ma sopratutto Piscitella, classe 1993, a molti, e anche a noi, non lo neghiamo, è parso un azzardo. A conti fatti, invece, è stata un'ottima mossa tattica. La data di nascita, infatti, non sempre è descrizione perfetta della personalità.

Ottima la prova del reparto difensivo, con uno Stekelenburg sempre più certezza assoluta. Un po' in ombra, invece, il centrocampo, con Gago e Pjanic irriconoscibili, sulla cui prova probabilmente pesano tantissimo i ritmi di una gara schizofrenica, laccio emostatico attorno alla capacità di pensare e poi agire.

La Roma, però, ha sfoderato la stessa voglia e lo stesso mordente che aveva mostrato nel match di domenica pomeriggio all'Olimpico.

Per questo motivo più che ai due punti lasciati sotto l'Etna e al rimpianto per il sorpasso fallito all'Inter, occorre sorridere per la strada intrapresa, che pioggia, neve, vento o sole, non sembra mai scostarsi dalla sua Idea. Dritta ad un solo obiettivo. Con la speranza che questo collimi con il terzo posto.

Il progetto Roma continua, dunque, alla faccia di tutti quelli che sprecano il loro prezioso tempo a protes Tare. A proposito: Tare chi? 

mercoledì 8 febbraio 2012

La Roma è come Borini: una mano stretta tra i denti


Il trionfo dell'ovvio. Il concetto di squadra è dato dall'unione di undici giocatori. Ma più simile ad un episodio, frutto di tanti, piccoli, particolari, che ad una retta: un susseguirsi infinito di punti.
Questo perché così come cambiando l'ordine e il tipo di particolari, l'episodio può essere completamente stravolto, pur rimanendo tale, altrettanto vale per una squadra di calcio. Modificando gli interpreti e la loro posizione in campo, anche il concetto di collettivo cambia.
Tutto questo per dire che la Roma per tornare a essere una squadra, non può prescindere da alcune pedine fondamentali. Una di queste è Daniele De Rossi.

Se c'è qualcosa che la Roma ha trasmesso durante la gara contro l'Inter è stata sicurezza. Serenità. Nei propri mezzi, nel proprio gioco e nel risultato.
La sicurezza di Stekelenburg, più volte interpellato dai propri compagni di reparto anche in fase di impostazione.
La sicurezza di Heinze, che rende più tranquilli anche Juan e José Angel.
La sicurezza di Francesco Totti, capace di servire due colpi di tacco illuminanti, nel giro di circa 30 secondi.
Quella di Daniele De Rossi, rientrato dopo quasi un mese di assenza e tornato al proprio posto con una naturalezza che mette allegria.

Questa Roma è riassunta perfettamente nell'esultanza di Fabio Borini. Una mano stretta tra i denti. Una squadra capace di giocare con il coltello in bocca, che sa aggredire gli avversari, schiacciandoli nella propria metà campo per quasi 45 minuti.
Una squadra che ti fa mangiare le mani per le tante occasioni sprecate in stagione. Ultime in ordine di tempo Bologna e Cagliari.
Guardare la classifica è da provinciali, lo sappiamo, ma non riusciamo a farne a meno.

Quattro gol all'Inter di Ranieri. La doppietta di Fabio Borini. Il recupero di Bojan. Il rinnovo di Daniele De Rossi. Neve e ghiaccio hanno messo in ginocchio una città. Speriamo riescano almeno a congelare questo momento della squadra.   

domenica 5 febbraio 2012

Roma-Inter: le pagelle. Borini, la partita perfetta. E' tornato anche Bojan!

Stekelenburg 6.5: impensierito solo una volta e da un tiro dalla distanza di Milito, dà sicurezza ai propri compagni di reparto, che spesso si rifugiano tra i suoi piedi in caso di difficoltà. Nessun problema: sa anche impostare.

Taddei 7: nonostante sia dirottato sulla destra, spinge come un forsennato e mette in seria apprensione Nagatomo.

Heinze 7: torna in campo e la Roma ritrova la vittoria e soprattutto i punti. Un caso?

Juan 7.5: ha il merito di sbloccare la gara con il terzo gol di testa in pochi giorni. Addirittura fantastico, quando con un sombrero, da ultimo uomo, si sbarazza di Pazzini. Incomprensibile come possa inanellare prestazioni meravigliose come quella contro l'Inter e assolutamente inguardabili come quella contro il Cagliari. Intermittente.

José Angel 6: schierato titolare a sorpresa, ha lungo la sua fascia un cliente piuttosto scomodo come Maicon. Completamente annullato. Se riuscisse a trovare la precisione giusta anche al momento di crossare, potremmo parlare di un calciatore sulla via del recupero.

Pjanic 7: solita classe, insaporita dal giusto grado di determinazione e incisività. Danza sul pallone: è un piacere vederlo giocare.

De Rossi 7: con lui in campo, inutile sottolinearlo, è tutta un'altra Roma. Perfetto in fase di non possesso, durante la quale si abbassa, diventando il terzo centrale di difesa e dando maggiore stabilità alla retroguardia. Arma in più anche in fase di impostazione e sui calci d'angolo, durante i quali chiama su di sé diversi marcatori e riesce a liberare almeno un saltatore.

Gago 6.5: in posizione di intermedio di centrocampo torna a macinare chilometri e a recuperare palloni. Si conferma più a suo agio nel ruolo di interdittore che in quello di play. Bentornato!
(24' st Simplicio 6: entra a risultato pienamente acquisito e deve solo controllare la situazione. Lo fa in maniera impeccabile)

Totti 7: il colpo di tacco che smarca Lamela, al 10' del primo tempo, varrebbe da solo voto e prezzo del biglietto. Il Capitano, però, è tanta e altra roba. Sventagliate di destro e di sinistro a liberare gli esterni, recuperi in difesa. E' sempre indispensabile.

Lamela 6: continua il lungo letargo del talento argentino. Gioca a sprazzi, ma è lontano dal Lamela che tutti abbiamo ammirato tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012. 
(27' st Bojan 6: prova a dare una sterzata alla propria stagione e ci riesce trovando un gol bellissimo, fatto per metà di cattiveria e per metà di grande classe. Con un Borini in questo stato, comunque, il posto da titolare appare sempre più un miraggio)

Borini 8: "La giornata perfetta". Se gli avessero chiesto di scrivere un racconto, intitolato in questo modo, nemmeno lui, l'avrebbe reso con questa intensità. Doppietta decisiva e solita, immensa, straordinaria voglia di sacrificarsi per la squadra. Semplicemente perfetto.
(33' st Piscitella 6: esordio in Serie A. Basterebbe questo. Ma bisogna aggiungere anche un assist a Bojan...)

All. Luis Enrique 7: la squadra gioca con la qualità e l'aggressività che chiede il tecnico. Ora, però, bisogna concentrarsi sui 20 minuti di Catania: c'è un terzo posto da agguantare.

giovedì 2 febbraio 2012

Roma, siamo alla fase della negazione. La Primavera è lontana...


In un abbandono, un addio o un lutto, esistono diverse fasi di elaborazione, che vanno necessariamente affrontate. Per la precisione quattro: la negazione, la disperazione, la rabbia e infine l'accettazione.
Con i dovuti distinguo, la sensazione è che in questi primi sei mesi di Roma stelle strisce, queste fasi siano state abbondantemente vissute e assimilate. Sebbene a ritroso.

Abbiamo accettato il progetto, cullandolo, difendendolo e coccolandolo come fosse un neonato da aiutare a crescere. Tollerandone anche gli inevitabili limiti e gli insopportabili i capricci. Un evento epocale.

La prima striscia di vittorie è coincisa con una rabbia senza precedenti: si erano sprecate settimane alla ricerca di un qualcosa, che solo dopo averlo messo da parte, si era raggiunto.

La disperazione, conseguente, è stata inevitabile: ma non per il fallimento di tutti gli obiettivi, bensì per il loro essere sfumati prima ancora di aver provato a conquistarli.

Oggi è il tempo della negazione. Oggi è il momento di mettere da parte le esclamazioni e lasciare spazio agli interrogativi.

Che fine ha fatto la Roma? È possibile, in soli dieci giorni, toccare il punto più alto e quello più basso della propria stagione? Si possono subire quattro gol da una squadra, il Cagliari, che vanta il secondo peggior attacco della Serie A e che al Sant'Elia, in tutto il campionato, ha segnato solo sei volte?
Ma soprattutto: perché il fatto di subire lo stesso tipo di gol invece di tranquillizzare, in quanto problema facilmente risolvibile, rende assolutamente disperati?

La sconfitta di Firenze e quella di Cagliari rappresentano lo stesso punto della spirale lungo la quale si è mossa la Roma, la struttura portante del suo DNA. E se il Franchi era apparso il punto più lontano da sé dal quale partire, il Sant'Elia potrebbe rappresentare lo stesso passaggio dello stesso percorso. Ci si sarebbe però aspettati di arrivarci rafforzati dalle esperienze precedenti. E invece la roma ci è arrivata come prima, peggio di prima. Come se la spirale verso l'alto si sia spezzata lasciando solo un vuoto in cui precipitare di nuovo al punto di partenza.

Oggi, 2 febbraio, è il giorno della candelora. Quello durante il quale, dicevano gli antichi, bisgona aprire la finestra e guardare se l'inverno è finito o meno. Stamattina, in pochi hanno avuto il coraggio di mettere il naso fuori e analizzare la Roma. L'impressione è che la Primavera sia ancora lontana. 

mercoledì 1 febbraio 2012

Cagliari-Roma: le pagelle. Una beffa senza precedenti

Stekelenburg 5: lascia il campo con quattro gol sul groppone, anche se sembra aver responsabilità solo su uno: il terzo. Prima accenna l'uscita, poi lascia a Thiago Ribeiro lo spazio per calciare a rete. Una brutta serata.

Rosi 5: gravissimo l'errore sul secondo gol del Cagliari, quando non chiude la diagonale sul movimento di Pinilla. Gli errori principali, comunque, li commette in fase di impostazione e soprattutto di conclusione. Clamoroso il tiro spedito alle stelle che poteva valere tranquillamente il 3-3. Non ci siamo.

Juan 6: segna il suo secondo gol in campionato in poco meno di dieci giorni e sembra dirigere con autorità la difesa. Ma se il leader della retroguardia deve essere lui, diventa dura.

Kjaer 5: sembra quasi inutile continuare a commentare le sue prestazioni. Mostra i soliti limiti, anche se sul gol di Pinilla ha l'unica colpa di tenere in gioco il calciatore cileno.

José Angel 5: tanto dinamismo, ma poca qualità. Non riesce a mettere un cross, degno di questo nome. Non rincorre nemmeno gli avversari. Pessimo.

Gago 5: ha sulla coscienza il 3-2 del Cagliari. Un'ingenuità enorme perdere un pallone così importante, nella zona centrale del campo, lasciando libero Daniele Conti di far partire il contropiede. Sbaglia troppo, anche se ci mette tutto quello che ha.

Pjanic 6: suo il calcio di punizione, potentissimo, che porta al'1-2 di Borini. Suo anche l'altro calcio di punizione, che Micheal Agazzi può solo guardare: forse l'azione più nitida dei giallorossi per arrivare al pareggio. Predica nel deserto.

Simplicio 5: non dà né equilibrio, né spunto in attacco. Ennesima brutta prestazione.
(23' st Greco 5: incide, ma in negativo) 

Lamela 5: non gli riescono più neanche le cose più semplici, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettarlo. Si riprenderà sicuramente.  
(35' st Bojan 5: ha giocato? E chi l'ha visto...)

Totti 6: regala i soliti assist, smarcando soli davanti al portiere Rosi, Pjanic e Borini. Non basta? Allora ci mette la faccia anche in mix zone. Capitano vero. Unico e solo.

Borini 6: non sarà cattivo come Osvaldo e forse non avrà la stessa tecnica di Bojan, ma continua a restare l'elemento più pericoloso dell'attacco giallorosso. Un gol, un miracolo di Agazzi e tantissimo lavoro senza palla. A noi piace.

All. Luis Enrique 6: se c'è un errore da imputargli è sicuramente quello di lasciare in panchina Heinze, preferendogli uno tra Juan e Kjaer. Per il resto la squadra gioca, non segna, ma mostra tante, troppe amnesie difensive. Houston abbiamo un problema.

Questione di punti di vista: ma meglio non parlare di bicchiere pieno o vuoto...


È la solita storia: quella delle opinioni e dei punti vista. Perché a guardare il bicchiere mezzo pieno, c'è da esser felici per come la Roma, per la prima volta dall'inizio dell'avventura di Luis Enrique, sia riuscita a recuperare un risultato. Sebbene non a completare la rimonta. Senza dimenticare, poi, l'incremento della striscia di risultati utili consecutivi, che in campionato è giunta ormai a sei gare.

Dall'altro canto, invece, guardando il bicchiere mezzo vuoto, c'è da mangiarsi le mani per l'occasione sprecata: considerando la qualità basiche del Bologna, il match interno e gli stop improvvisi e inaspettati di Udinese, Napoli e Inter.

A pensarci bene, però, visto il periodo storico e gli ultimi accadimenti, forse sarebbe meglio evitare di utilizzare metafore che abbiano come termini di paragone bicchieri, bottiglie, cene e feste varie. Ci faremo più attenzione.

Partendo dal presupposto che dopo un filotto di quattro vittorie, si possa avere difficoltà a trovare la concentrazione e la grinta necessaria per conquistare la quinta, questo pareggio è da attribuire esclusivamente ai calciatori.

Il risultato maturato contro il Bologna è frutto dell'estro e dei limiti dei singoli. Il buco di Juan, gli errori di Simplicio e Bojan, ma anche la magia di Pjanic.
La Roma sembra, allora, sempre più un adolescente dalle grandi possibilità. Preparato, forte e giovane ma incompiuto proprio per la sua inesperienza. Frustrato dal confronto con i meno talentuosi ma più scafati avversari di turno. Luis Enrique, l'educatore, ha un solo compito: accompagnare il passaggio dall'adolescenza alla maturità di questa creatura.

Tra le tante responsabilità dell'asturiano ci sarà anche quella di dare la giusta considerazioni a sconfitte pesanti e improvvise come quella di Torino in Coppa Italia. Evidentemente archiviata come passo utile e inevitabile per la crescita, ma soprattutto sottovalutata se non sono bastati cinque giorni per ammortizzare la sbornia, di freddo e gol, subita in quel dello Juventus Stadium. Scusate, nonostante la promessa, ci siamo cascati di nuovo...