giovedì 1 marzo 2012

As Roma non era Associazione Sportiva? Ora è Asilo Statale


C'era una lavagna. Sulla quale qualcuno, con un pennarello, tracciava linee e scriveva nomi. Di fronte una ventina di persone sedute. Tra l'altro vestite tutte allo stesso modo. Nel silenzio generale, qualcun altro ha bussato alla porta e ha chiesto scusa per il ritardo. Probabilmente accomodandosi in uno degli ultimi posti rimasti liberi. Nessuno ha chiesto giustificazioni: si è subito passati alle vie di fatto. Esclusione. Sospensione.

Le apparenze possono trarre in inganno, lo sappiamo. Eppure la scena appena descritta non ha avuto come scenario un'aula di scuola. Ma la sala di un albergo. Quella in cui si stava tenendo la riunione tecnica della Roma, qualche ora prima della gara contro l'Atalanta.

Le regole sono importanti. Così come gli esempi. E vanno stabili e rispettati. Ma gli integralismi, le prese di posizione sciocche e ottuse non hanno mai portato da nessuna parte. Nella vita, come nel calcio.

E se abbiamo storto la bocca di fronte all'esclusione a Firenze di Osvaldo per motivi disciplinari, ora è il momento di fare qualcosa di diverso. Indignarsi non basta più, occorre lanciare l'allarme e dire che questo modo di gestire una squadra di calcio è sbagliato.
Punire chi pecca di superficialità è giusto, specialmente se rappresenta uno dei totem indiscussi dello spogliatoio, come nel caso di De Rossi, togliere ai giocatori in campo il loro punto di riferimento, significa mettere in atto un vero e proprio suicidio sportivo.
Anche perché la squadra inon reagisce sul piano della prestazione, mostrando solo un eccessivo nervosismo. Le cinque espulsioni dirette, tra Firenze e Bergamo, sono un dato che deve far riflettere.

Le sospensioni, le punizioni che hanno come scopo l'educazione, sono molto più adatte alla scuola dell'obbligo e non ad un club che vuole crescere in Italia e in Europa.

Probabilmente ci siamo persi qualcosa. Ma fino a quando lo ricordiamo noi, la sigla AS Roma stava ad indicare Associazione Sportiva Roma e non Asilo Statale.


Venghino signori. Riapre il Luna Park As Roma


Venghino signori. E che a nessuno manchino lecca-lecca, pop corn dolce e zucchero filato. Riapre il Luna Park chiamato Roma. Questo splendido parco giochi, ricco di attrazioni e luci intermittenti, che dei luoghi dedicati ai piccini, ma che piacciono anche ai grandi, condivide le più importanti caratteristiche, tra le quali il senso di decadenza che ti dà osservare lucidamente la faccia di un clown.

In questo splendido, luminoso e, soprattutto, a tratti inquietante, Luna Park chiamato Roma, qualche passo sembra sia stato fatto. Si è scesi dalla nave pirata che in autunno era stata l'attrazione più gettonata, con tutti i suoi alti e bassi e che oltre alla nausea, non stimolavano altro, per salire sul trenino delle montagne russe.

E allora salite meravigliose, lente, che ti permettono di ammirare il panorama e ti fanno sentire il re del mondo, vedi le vittorie in goleada contro Cesena e Inter e poi discese vorticose, quasi infinite, affrontate a occhi chiusi, che ti ribaltano lo stomaco e spostano il fegato. Vedi le sconfitte contro Cagliari e Siena.

Questo il campionato della Roma: serie infinite di salite e discese, indipendenti dalla volontà del macchinista, figurarsi dei passeggeri o degli spettatori. Il movimento, però, è solo un'illusione: il binario è chiuso, identico, quasi noioso. E ad ogni enorme gioia, segue una scontata delusione. Per poi tornare al punto di partenza.

Il lato comico della storia è che mentre noi, non paghi, sgomitiamo per rimetterci in fila, il nostro obiettivo non si allontana nemmeno di un millimetro. Resta lì, immobile, come se nessuno lo volesse.

Il tempo stringe e il tramonto si avvicina, insieme all'inevitabile chiusura del Luna Park. Ma a noi non sembra interessare: ci sediamo, agganciamo le cinture e prepariamo l'ugola per urlare ancora. Pronti a un altro giro?


martedì 14 febbraio 2012

Un minuto? Il massimo che si può chiedere alla perfezione. Figuratevi quanto di imperfetto ci possa essere in 27...


Un minuto è il massimo che si può chiedere alla perfezione” spiegava al suo doppio, Tyler Durden, protagonista di “Fight Club”. Sessanta secondi. Non di più. Figurarsi quanto di imperfetto si possa trovare in ventisette minuti. Senza contare il recupero.

Rapida, deludente, inutile, scontata. Quante immagini sprecate per tentare di descrivere questo Catania-Roma: molto più simile ad un film muto degli anni '30, che, infatti, delle immagini accelerate faceva una delle gag più abusate, che a una partita di calcio.

Matta, il termine utilizzato da Luis Enrique pochi secondi dopo il triplice fischio finale, sembra l'aggettivo più calzante. Perché in questi pazzi 30 minuti di calcio giocato ad un ritmo da cardiopalma, per giocatori e tifosi, si è visto di tutto. Occasioni da rete a ripetizione, un miracolo per parte dei portieri, poi errori, giocate, calci d'angolo. Persino due infortuni: uno in campo, quello di Almiron, l'altro, quello di Potenza, ancora prima che iniziasse la partita. Frutto di un riscaldamento fin troppo intenso.
Alla follia, però, si deve necessariamente rispondere con la follia. Meccanismo che Luis Enrique conosce fin troppo bene. E allora spazio a un tridente che, almeno per età, sembrerebbe molto più adatto al torneo di Viareggio che ad una delicata gara di Serie A. Schierare Borini, classe 1991, Lamela, classe 1992, ma sopratutto Piscitella, classe 1993, a molti, e anche a noi, non lo neghiamo, è parso un azzardo. A conti fatti, invece, è stata un'ottima mossa tattica. La data di nascita, infatti, non sempre è descrizione perfetta della personalità.

Ottima la prova del reparto difensivo, con uno Stekelenburg sempre più certezza assoluta. Un po' in ombra, invece, il centrocampo, con Gago e Pjanic irriconoscibili, sulla cui prova probabilmente pesano tantissimo i ritmi di una gara schizofrenica, laccio emostatico attorno alla capacità di pensare e poi agire.

La Roma, però, ha sfoderato la stessa voglia e lo stesso mordente che aveva mostrato nel match di domenica pomeriggio all'Olimpico.

Per questo motivo più che ai due punti lasciati sotto l'Etna e al rimpianto per il sorpasso fallito all'Inter, occorre sorridere per la strada intrapresa, che pioggia, neve, vento o sole, non sembra mai scostarsi dalla sua Idea. Dritta ad un solo obiettivo. Con la speranza che questo collimi con il terzo posto.

Il progetto Roma continua, dunque, alla faccia di tutti quelli che sprecano il loro prezioso tempo a protes Tare. A proposito: Tare chi? 

mercoledì 8 febbraio 2012

La Roma è come Borini: una mano stretta tra i denti


Il trionfo dell'ovvio. Il concetto di squadra è dato dall'unione di undici giocatori. Ma più simile ad un episodio, frutto di tanti, piccoli, particolari, che ad una retta: un susseguirsi infinito di punti.
Questo perché così come cambiando l'ordine e il tipo di particolari, l'episodio può essere completamente stravolto, pur rimanendo tale, altrettanto vale per una squadra di calcio. Modificando gli interpreti e la loro posizione in campo, anche il concetto di collettivo cambia.
Tutto questo per dire che la Roma per tornare a essere una squadra, non può prescindere da alcune pedine fondamentali. Una di queste è Daniele De Rossi.

Se c'è qualcosa che la Roma ha trasmesso durante la gara contro l'Inter è stata sicurezza. Serenità. Nei propri mezzi, nel proprio gioco e nel risultato.
La sicurezza di Stekelenburg, più volte interpellato dai propri compagni di reparto anche in fase di impostazione.
La sicurezza di Heinze, che rende più tranquilli anche Juan e José Angel.
La sicurezza di Francesco Totti, capace di servire due colpi di tacco illuminanti, nel giro di circa 30 secondi.
Quella di Daniele De Rossi, rientrato dopo quasi un mese di assenza e tornato al proprio posto con una naturalezza che mette allegria.

Questa Roma è riassunta perfettamente nell'esultanza di Fabio Borini. Una mano stretta tra i denti. Una squadra capace di giocare con il coltello in bocca, che sa aggredire gli avversari, schiacciandoli nella propria metà campo per quasi 45 minuti.
Una squadra che ti fa mangiare le mani per le tante occasioni sprecate in stagione. Ultime in ordine di tempo Bologna e Cagliari.
Guardare la classifica è da provinciali, lo sappiamo, ma non riusciamo a farne a meno.

Quattro gol all'Inter di Ranieri. La doppietta di Fabio Borini. Il recupero di Bojan. Il rinnovo di Daniele De Rossi. Neve e ghiaccio hanno messo in ginocchio una città. Speriamo riescano almeno a congelare questo momento della squadra.   

domenica 5 febbraio 2012

Roma-Inter: le pagelle. Borini, la partita perfetta. E' tornato anche Bojan!

Stekelenburg 6.5: impensierito solo una volta e da un tiro dalla distanza di Milito, dà sicurezza ai propri compagni di reparto, che spesso si rifugiano tra i suoi piedi in caso di difficoltà. Nessun problema: sa anche impostare.

Taddei 7: nonostante sia dirottato sulla destra, spinge come un forsennato e mette in seria apprensione Nagatomo.

Heinze 7: torna in campo e la Roma ritrova la vittoria e soprattutto i punti. Un caso?

Juan 7.5: ha il merito di sbloccare la gara con il terzo gol di testa in pochi giorni. Addirittura fantastico, quando con un sombrero, da ultimo uomo, si sbarazza di Pazzini. Incomprensibile come possa inanellare prestazioni meravigliose come quella contro l'Inter e assolutamente inguardabili come quella contro il Cagliari. Intermittente.

José Angel 6: schierato titolare a sorpresa, ha lungo la sua fascia un cliente piuttosto scomodo come Maicon. Completamente annullato. Se riuscisse a trovare la precisione giusta anche al momento di crossare, potremmo parlare di un calciatore sulla via del recupero.

Pjanic 7: solita classe, insaporita dal giusto grado di determinazione e incisività. Danza sul pallone: è un piacere vederlo giocare.

De Rossi 7: con lui in campo, inutile sottolinearlo, è tutta un'altra Roma. Perfetto in fase di non possesso, durante la quale si abbassa, diventando il terzo centrale di difesa e dando maggiore stabilità alla retroguardia. Arma in più anche in fase di impostazione e sui calci d'angolo, durante i quali chiama su di sé diversi marcatori e riesce a liberare almeno un saltatore.

Gago 6.5: in posizione di intermedio di centrocampo torna a macinare chilometri e a recuperare palloni. Si conferma più a suo agio nel ruolo di interdittore che in quello di play. Bentornato!
(24' st Simplicio 6: entra a risultato pienamente acquisito e deve solo controllare la situazione. Lo fa in maniera impeccabile)

Totti 7: il colpo di tacco che smarca Lamela, al 10' del primo tempo, varrebbe da solo voto e prezzo del biglietto. Il Capitano, però, è tanta e altra roba. Sventagliate di destro e di sinistro a liberare gli esterni, recuperi in difesa. E' sempre indispensabile.

Lamela 6: continua il lungo letargo del talento argentino. Gioca a sprazzi, ma è lontano dal Lamela che tutti abbiamo ammirato tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012. 
(27' st Bojan 6: prova a dare una sterzata alla propria stagione e ci riesce trovando un gol bellissimo, fatto per metà di cattiveria e per metà di grande classe. Con un Borini in questo stato, comunque, il posto da titolare appare sempre più un miraggio)

Borini 8: "La giornata perfetta". Se gli avessero chiesto di scrivere un racconto, intitolato in questo modo, nemmeno lui, l'avrebbe reso con questa intensità. Doppietta decisiva e solita, immensa, straordinaria voglia di sacrificarsi per la squadra. Semplicemente perfetto.
(33' st Piscitella 6: esordio in Serie A. Basterebbe questo. Ma bisogna aggiungere anche un assist a Bojan...)

All. Luis Enrique 7: la squadra gioca con la qualità e l'aggressività che chiede il tecnico. Ora, però, bisogna concentrarsi sui 20 minuti di Catania: c'è un terzo posto da agguantare.

giovedì 2 febbraio 2012

Roma, siamo alla fase della negazione. La Primavera è lontana...


In un abbandono, un addio o un lutto, esistono diverse fasi di elaborazione, che vanno necessariamente affrontate. Per la precisione quattro: la negazione, la disperazione, la rabbia e infine l'accettazione.
Con i dovuti distinguo, la sensazione è che in questi primi sei mesi di Roma stelle strisce, queste fasi siano state abbondantemente vissute e assimilate. Sebbene a ritroso.

Abbiamo accettato il progetto, cullandolo, difendendolo e coccolandolo come fosse un neonato da aiutare a crescere. Tollerandone anche gli inevitabili limiti e gli insopportabili i capricci. Un evento epocale.

La prima striscia di vittorie è coincisa con una rabbia senza precedenti: si erano sprecate settimane alla ricerca di un qualcosa, che solo dopo averlo messo da parte, si era raggiunto.

La disperazione, conseguente, è stata inevitabile: ma non per il fallimento di tutti gli obiettivi, bensì per il loro essere sfumati prima ancora di aver provato a conquistarli.

Oggi è il tempo della negazione. Oggi è il momento di mettere da parte le esclamazioni e lasciare spazio agli interrogativi.

Che fine ha fatto la Roma? È possibile, in soli dieci giorni, toccare il punto più alto e quello più basso della propria stagione? Si possono subire quattro gol da una squadra, il Cagliari, che vanta il secondo peggior attacco della Serie A e che al Sant'Elia, in tutto il campionato, ha segnato solo sei volte?
Ma soprattutto: perché il fatto di subire lo stesso tipo di gol invece di tranquillizzare, in quanto problema facilmente risolvibile, rende assolutamente disperati?

La sconfitta di Firenze e quella di Cagliari rappresentano lo stesso punto della spirale lungo la quale si è mossa la Roma, la struttura portante del suo DNA. E se il Franchi era apparso il punto più lontano da sé dal quale partire, il Sant'Elia potrebbe rappresentare lo stesso passaggio dello stesso percorso. Ci si sarebbe però aspettati di arrivarci rafforzati dalle esperienze precedenti. E invece la roma ci è arrivata come prima, peggio di prima. Come se la spirale verso l'alto si sia spezzata lasciando solo un vuoto in cui precipitare di nuovo al punto di partenza.

Oggi, 2 febbraio, è il giorno della candelora. Quello durante il quale, dicevano gli antichi, bisgona aprire la finestra e guardare se l'inverno è finito o meno. Stamattina, in pochi hanno avuto il coraggio di mettere il naso fuori e analizzare la Roma. L'impressione è che la Primavera sia ancora lontana. 

mercoledì 1 febbraio 2012

Cagliari-Roma: le pagelle. Una beffa senza precedenti

Stekelenburg 5: lascia il campo con quattro gol sul groppone, anche se sembra aver responsabilità solo su uno: il terzo. Prima accenna l'uscita, poi lascia a Thiago Ribeiro lo spazio per calciare a rete. Una brutta serata.

Rosi 5: gravissimo l'errore sul secondo gol del Cagliari, quando non chiude la diagonale sul movimento di Pinilla. Gli errori principali, comunque, li commette in fase di impostazione e soprattutto di conclusione. Clamoroso il tiro spedito alle stelle che poteva valere tranquillamente il 3-3. Non ci siamo.

Juan 6: segna il suo secondo gol in campionato in poco meno di dieci giorni e sembra dirigere con autorità la difesa. Ma se il leader della retroguardia deve essere lui, diventa dura.

Kjaer 5: sembra quasi inutile continuare a commentare le sue prestazioni. Mostra i soliti limiti, anche se sul gol di Pinilla ha l'unica colpa di tenere in gioco il calciatore cileno.

José Angel 5: tanto dinamismo, ma poca qualità. Non riesce a mettere un cross, degno di questo nome. Non rincorre nemmeno gli avversari. Pessimo.

Gago 5: ha sulla coscienza il 3-2 del Cagliari. Un'ingenuità enorme perdere un pallone così importante, nella zona centrale del campo, lasciando libero Daniele Conti di far partire il contropiede. Sbaglia troppo, anche se ci mette tutto quello che ha.

Pjanic 6: suo il calcio di punizione, potentissimo, che porta al'1-2 di Borini. Suo anche l'altro calcio di punizione, che Micheal Agazzi può solo guardare: forse l'azione più nitida dei giallorossi per arrivare al pareggio. Predica nel deserto.

Simplicio 5: non dà né equilibrio, né spunto in attacco. Ennesima brutta prestazione.
(23' st Greco 5: incide, ma in negativo) 

Lamela 5: non gli riescono più neanche le cose più semplici, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettarlo. Si riprenderà sicuramente.  
(35' st Bojan 5: ha giocato? E chi l'ha visto...)

Totti 6: regala i soliti assist, smarcando soli davanti al portiere Rosi, Pjanic e Borini. Non basta? Allora ci mette la faccia anche in mix zone. Capitano vero. Unico e solo.

Borini 6: non sarà cattivo come Osvaldo e forse non avrà la stessa tecnica di Bojan, ma continua a restare l'elemento più pericoloso dell'attacco giallorosso. Un gol, un miracolo di Agazzi e tantissimo lavoro senza palla. A noi piace.

All. Luis Enrique 6: se c'è un errore da imputargli è sicuramente quello di lasciare in panchina Heinze, preferendogli uno tra Juan e Kjaer. Per il resto la squadra gioca, non segna, ma mostra tante, troppe amnesie difensive. Houston abbiamo un problema.

Questione di punti di vista: ma meglio non parlare di bicchiere pieno o vuoto...


È la solita storia: quella delle opinioni e dei punti vista. Perché a guardare il bicchiere mezzo pieno, c'è da esser felici per come la Roma, per la prima volta dall'inizio dell'avventura di Luis Enrique, sia riuscita a recuperare un risultato. Sebbene non a completare la rimonta. Senza dimenticare, poi, l'incremento della striscia di risultati utili consecutivi, che in campionato è giunta ormai a sei gare.

Dall'altro canto, invece, guardando il bicchiere mezzo vuoto, c'è da mangiarsi le mani per l'occasione sprecata: considerando la qualità basiche del Bologna, il match interno e gli stop improvvisi e inaspettati di Udinese, Napoli e Inter.

A pensarci bene, però, visto il periodo storico e gli ultimi accadimenti, forse sarebbe meglio evitare di utilizzare metafore che abbiano come termini di paragone bicchieri, bottiglie, cene e feste varie. Ci faremo più attenzione.

Partendo dal presupposto che dopo un filotto di quattro vittorie, si possa avere difficoltà a trovare la concentrazione e la grinta necessaria per conquistare la quinta, questo pareggio è da attribuire esclusivamente ai calciatori.

Il risultato maturato contro il Bologna è frutto dell'estro e dei limiti dei singoli. Il buco di Juan, gli errori di Simplicio e Bojan, ma anche la magia di Pjanic.
La Roma sembra, allora, sempre più un adolescente dalle grandi possibilità. Preparato, forte e giovane ma incompiuto proprio per la sua inesperienza. Frustrato dal confronto con i meno talentuosi ma più scafati avversari di turno. Luis Enrique, l'educatore, ha un solo compito: accompagnare il passaggio dall'adolescenza alla maturità di questa creatura.

Tra le tante responsabilità dell'asturiano ci sarà anche quella di dare la giusta considerazioni a sconfitte pesanti e improvvise come quella di Torino in Coppa Italia. Evidentemente archiviata come passo utile e inevitabile per la crescita, ma soprattutto sottovalutata se non sono bastati cinque giorni per ammortizzare la sbornia, di freddo e gol, subita in quel dello Juventus Stadium. Scusate, nonostante la promessa, ci siamo cascati di nuovo...

domenica 29 gennaio 2012

Roma-Bologna: le pagelle. Bojan e Lamela gravemente insufficienti

Stekelenburg 6.5: sul gol di Di Vaio può davvero poco. Si riscatta qualche istante più tardi, negando sempre al numero nove del Bologna, a mano aperta, la rete del possibile 2-1. Ancora uno dei migliori.

Rosi 6: spinge tanto, come al solito, ma appare un pò meno lucido, soprattutto in fase di impostazione. Comunque in crescita.

Heinze 6.5: si conferma in grandissima condizione. I suoi avversari diretti, infatti, devono attendere la fine della gara per riuscire a vedere almeno il colore del pallone. Fantastico, nel primo tempo, quando in scivolata si immola su una conclusione di Di Vaio e fa ripartire la squadra in contropiede. Imperioso negli stacchi di testa, grintoso quando e quanto serve. Ce ne vorrebbero un paio come lui.

Juan 5: più svagato rispetto alle ultime uscite, buca in occasione del gol di Di Vaio, non arrivando ad intercettare il rinvio, piuttosto semplice da leggere, addirittura di Gillet. Qualche istante prima, però, aveva salvato sullo stesso ex Parma a porta vuota. Da rivedere.

Taddei 5.5: sulla sinistra dà sostegno, ma non sa rendersi pericoloso quando servirebbe piazzare l'accelerata decisiva. E' brutto da dirsi, ma sembra non conoscere il modo di chiudere la diagonale difensiva. Comprensibile: in fondo, fino a qualche settimana fa, era un centrocampista...

Gago 5.5: confusionario, lento e nervoso non riesce a dare le geometrie necessarie alla squadra e spesso, in difficoltà, rilancia il pallone in avanti sperando accada qualcosa. Meglio da intermedio.

Pjanic 6.5: è in grande spolvero e si vede. Si inventa un gol su punizione da cineteca e poi, dopo uno slalom esaltante, conclude di potenza chiamando Gillet al miracolo. Peccato che Simplicio non riesca ad approfittare del facile tap in.
(33' st Perrotta 6: ogni qualvolta la Roma è in difficoltà, Luis Enrique lo chiama in causa, sperando nella sua esperienza. Il tempo a disposizione è poco e SuperSimo non può inventarsi nulla di risolutivo)

Greco 5: arranca, surclassato dal dinamismo e dalla densità del centrocampo bolognese.
(16' st Simplicio 5: la sua mezz'ora di gara è tutto in quel piattone, sulla respinta di Gillet, che finisce sull'esterno della rete. Se fosse riuscito a metterlo in porta, staremmo parlando di un'altra gara. La sua, come quella della Roma)

Lamela 4.5: è rimasto a Torino, attaccato ai pantaloncini di Chiellini. Non entra mai in partita. Sarà difficile crederci, ma l'Olimpico non trema.
(16' st Bojan 4.5: questa dovrebbe essere la sua gara: spazi intasati e possibilità di mettersi in mostra per i brevilinei e i dribblomani. Appena entrato spreca un assist al bacio di Totti, poi si spegne minuto dopo minuto. Involuzione incredibile)

Totti 6: punto nell'orgoglio dalle dichiarazioni di Diamanti, ci prova da ogni posizione. Un po' di sfortuna, un po' di imprecisione non gli permettono di gonfiare la rete. Le azioni più pericolose dei giallorossi, però, partono sempre tutte dai suoi piedi.

Borini 5: non è il London che tutti abbiamo imparato ad amare. Lotta, morde, corre, si arrabbatta, ma non arriva mai alla conclusione pulita in porta.

All. Luis Enrique 6: sceglie l'undici migliore a disposizione e ha il coraggio di sostituire Lamela, togliendo alla squadra la sua imprevedibilità, che pur stentava ad accendersi, per inserire un Bojan carico di responsabilità. Prima rimonta italiana, peccato non si completi a dovere.



venerdì 27 gennaio 2012

Non chiamateli raccomandati. Basta figli di papà...


Impara l'arte e mettila da parte, si dice. Chissà se vale anche per le progenie dei calciatori. Figli d'arte, in pratica, che affollano tabellini e partite di ogni categoria, sarà per le loro qualità sportive oppure, semplicemente, per il cognome che gli riempie maglia e carta d'identità.

Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Simone Andrea Ganz e Gianmarco Comi, coppia d'attacco del Milan Primavera. Il primo è figlio di Maurizio Ganz, ex Inter, Milan e Atalanta, l'altro di Antonio Comi, ex centrale difensivo di Roma e Torino, ora direttore sportivo proprio dei granata. L'elenco è lungo e davvero molto gustoso da approfondire.

Partiamo dalle serie minori e in particolare dalla D, dove qualche settimana con il Chieri ha esordito un diciannovenne di belle speranze: di nome fa Paolo e di cognome Ferrara, figlio dell'attuale Commisario Tecnico della Nazionale Under 21. Come il papà fa il difensore e di lui si dice un gran bene. In Promozione, invece, e per precisione nell'Aenaria c'è un portierino niente male di sedici anni: Luca Taglialatela, figlio di Pino ex estremo difensore del Napoli. Per lui sarà l'ultimo campionato tra i dilettanti, poi si tenterà la strada del professionismo, passando, probabilmente per qualche settore giovanile importante.

Lo stesso che sta seguendo, però, in un ruolo diverso, ovvero quello di allenatore, Dodo Sormani, figlio di Angelo Benedicto, ex attaccante italobrasiliano. Il tecnico quarantenne guida la Primavera del Napoli, con tanti grattacapi e poche soddisfazioni, vista anche la giovanissima età dei ragazzi in maglia azzurra. Ma ce ne sarebbe altri da ricordare, come Andrea Iuliano, figlio di Antonio, difensore della Juventus di Lippi, che corre per l'Internapoli, formazione di Serie D, fino allo stesso Diego Sinagra, meglio conosciuto come Diego Armando Maradona Junior. Partito dalle giovanili del Napoli, passato per la Primavera del Genoa ha avuto il suo primo impatto con il calcio semiprofessionistico, in un reality: Campioni il sogno, scenario il Cervia. Ora gioca in Eccellenza ma non ha disdegnato qualche apparizione nella nazionale di Beach Soccer, almeno fino a quanto il ct è stato Giancarlo Magrini, il secondo di Ciccio Graziani proprio a Cervia. 

I due fratelli Mancini, poi, figli di Roberto, il primo Filippo, classe 1990, gioca nella Virtus Entella, squadra di Interregionale, l'altro Andrea, nato nel 1992, dopo un trascorso al Bologna e all'Inter ora prova a farsi spazio a Manchester, sponda City.

Non chiamateli raccomandati. Basta figli di papà.

mercoledì 25 gennaio 2012

Juventus-Roma? E' proprio vero: il treno dei desideri, all'incontrario va...


C'è salito prima Vucinic e poi Borriello. Ha fischiato, attirando Pizarro. Ora s'è preso anche la nostra continuità. Le nostre velleità di coppe italia . E anche una stellina d'argento, che dovrà aspettare un'altra stagione, forse, prima di poter brillare sulle nostre maglie. Parliamo di questo particolare treno che procede in una sola direzione, lungo la tratta Roma-Torino. E' proprio, vero, che il treno dei desideri all'incontrario va.

Presupposto scontato, ma doveroso: non eravamo prossimi a vincere la Champions League dopo la vittoria contro il Cesena, non saremo costretti a lottare per la retrocessione dopo la pesante, inutile negarlo, sconfitta contro la Juventus.

Alcune puntualizzazioni però vanno necessariamente fatte: non abbiamo capito il turn over di Luis Enrique. D'accordo le tre partite in una sola settimana, i tanti infortunati e il bisogno di gestire la condizione atletica dei calciatori più importanti. Ma non sarebbe stato meglio schierare questa squadra, nettamente più inferiore rispetto a quella vista in campo contro il Cesena, proprio contro i romagnoli? Bojan in avanti è stato impalpabile, annullato dalla fisicità di Bonucci e Chiellini. Borini avrebbe dato maggiore spinta. Taddei, spostato a destra, ha sofferto la rapidità di Estigaribbia. Rosi, probabilmente, l'avrebbe contenuto meglio. Soprattutto non abbiamo compreso la staffetta Juan-Kjaer. Perché schierare il danese, in evidente difficoltà da settimane, su un terreno come quello di Torino, difficile per qualità tecniche richieste e soprattutto ambiente. Ovvio che la colpa della sconfitta non sia attribuibile esclusivamente a Kjaer, ma il centrale ex Wolfsburg non accenna miglioramenti. Sbaglia sempre nel leggere l'azione difensiva, cadendo nel tranello dell'elastico degli attaccanti avversari. Basti pensare che chiude la sua gara con un'autorete, in un periodo storico del calcio in cui l'autorete è praticamente estinta.

La speranza è che questo 3-0, così come quello di Firenze, apra un nuovo ciclo, fatto di altrettanti risultati utili consecutivi e di una vendetta sportiva consumata ai danni della Juventus, così come era successo contro la Fiorentina. Ci metteremmo la firma. 

Le bandiere non vanno ammainate: il paese si giudica anche da come le tratta


Spread, valori di borsa, tasso di inflazione, costo della benzina e prezzi delle case. Ci sono indici diversi per valutare le condizioni reali di un paese. Il trattamento riservato alla Bandiere.
Una nazione, viva e vitale, le lascia sventolare. Le annuncia con una fanfara. Le ostenta con malcelato orgoglio. Le guarda con rispetto e con un pizzico di malinconia. Se il tempo le confonde, interviene e le scioglie, le libera. Permette loro di proseguire in un continuo e incalcolabile lavoro. Se ferita, le abbassa. Le pone a mezz'asta, a mostrare che il dolore non è di un singolo componente, ma della comunità intera, della quale la bandiera rimane rappresentazione precisa.

Vecchie, sfilacciate, forse anche sbiadite, non vanno ripiegate. Gli va concessa la possibilità di decidere quando smettere e, nel caso, di annunciarlo. Per rispetto, più che per affetto. Un comportamento civile, più che umano.

E la cosa avviene in quasi tutti gli ambiti professionali.
Ai giornalisti in pensione, che, per anni, hanno riempito pagine e pagine di quotidiani, viene riservata spesso una rubrica. Un angolo, una colonna, più o meno ampia, all'interno della quale continuare a dar valore alle parole: per capacità e esperienza. Anche solo per il gusto di riprendere in mano la penna e darle lustro.

I professori universitari continuano a muovere il gesso sulla lavagna, il dito sui libri e gli occhi sulle tesi fino a quando ne hanno voglia. E anzi, più stagioni possono contare sulle loro mani, più si accresce il loro valore.

La cosa avviene in quasi tutti gli ambiti professionali. Ma non nello sport. Nel calcio in particolare. Una macchina spaventosa, un ingranaggio che, come moderni Charlie Chaplin, schiaccia chiunque non ha voglia di adeguarsi. O semplicemente è diventato un po' più lento.

E come spesso accade quando qualcuno comincia a togliere, con sapienza, sassolini da quel muro che costruito di notte, ci impedisce di vedere al di là della strada, la frana è arrivata puntuale e fragorosa. O forse, semplicemente, ci abbiamo fatto più caso.

Il primo a parlare è stato Paolo Maldini: “Il Milan non mi vuole”, ha gridato dalle pagine del giornale sportivo più importante d'Italia. Un'icona rossonera, capace di passare indenne attraverso tutte le epoche della squadra meneghina, improvvisamente messo da parte. Addirittura schifato dai tifosi.

E che dire di Alessandro Del Piero, calciatore e professionista esemplare che all'apice della sua carriera, ovvero all'indomani della vittoria di un Mondiale, decise di seguire la Juventus in Serie B? Amore della maglia? Rispetto per i colori? Mettetela come credete sia meglio: il fatto non cambia. Avrebbe dovuto avere un saluto più degno e soprattutto avrebbe dovuto scegliere lui il momento per annunciare il suo ritiro. Non meritava le quattro fredde parole di Andrea Agnelli, presidente della Juventus, ma solo per discesa dinastica.

L'eccezione, però, esiste. E' viva, reale. Quasi immortale. E si chiama Francesco Totti. Dato per finito centinaia di volte, il capitano della Roma ha saputo farsi spazio. Sempre. Per capacità e grande intelligenza. Ha saputo continuare a sventolare. Il suo popolo lo ha difeso, anche violentemente quando qualcuno, tanti a dire la verità, si sono arrampicati e a braccia tese hanno cercato di strapparlo via dalla sua asta. Non ci sono mai riusciti. E come premio i tifosi giallorossi hanno ricevuto tanto. L'ultimo regalo è stato il gol 211 che ha portato Totti, di diritto, al primo posto tra i bomber più prolifici della Serie A con la stessa maglia. Sbaragliando il record di Nordhal, campione svedese degli anni '50, che durava da 53 anni. Un'eternità.

Questo è il motivo per cui l'abbraccio tra Totti e Del Piero, nell'ultimo Juventus-Roma che probabilmente li vedrà l'uno contro l'altro, a darsi battaglia fascetta al braccio, è stato così malinconico.

Per sempre Bandiere. Per sempre liberi di sventolare.  

martedì 24 gennaio 2012

Juventus-Roma: le pagelle. Kjaer pessimo, ma l'autogol non si era estinto?

Stekelenburg 5: i tre gol subiti pesano sul giudizio finale. Incolpevole su tutte le reti della Juventus, soffre i movimenti e i retropassaggi di Kjaer. Ha avuto giornate migliori.

Taddei 5: soffre tantissimo la velocità e la freschezza di Estigarrabia, nel secondo tempo prende coraggio, ma scivola e sbaglia in continuazione l'interpretazione della diagonale.

Heinze 6: annulla completamente Borriello, ma non può marcare anche Kjaer.

Kjaer 4: continua ad interpretare malissimo tutte le situazioni difensive. Di nuovo come con la Fiorentina e l'Udinese, insegue l'uomo e cade nell'elastico di Giaccherini. Chiude meravigliosamente con un autogol, in un momento storico del calcio, in cui l'autorete è quasi estinta. E' giovane e deve imparare, ma non a discapito della Roma.

José Angel 4.5: ma dove è finito l'esterno tutta corsa e grinta di inizio stagione? Non spinge, non copre. Gigioneggia.

Gago 6: cresce di minuto in minuto ed è l'unico a provare a mettere in difficoltà Storari, con qualche tiro dalla distanza. E' l'ultimo a mollare.

Pjanic 6: l'impressione è che affrontare faccia a faccia Pirlo non sia proprio il massimo della vita. Non si nasconde e risponde di spada.  

Simplicio 5: sempre impreciso, non aggiunge nulla e non chiude un passaggio.
(22' st Greco sv: non incide, ma forse non ne ha il tempo)

Totti 6: il colpo di tacco che smarca Borini vale il biglietto e la serata storta. I fischi dello Juventus Stadium che lo travolgono ogni qualvolta tocca il pallone fanno capire quanto sia ancora decisivo
(26'st Perrotta sv: entra per dare copertura alla squadra sotto di un uomo. Non brilla)

Lamela 4.5: parte benissimo, seminando il panico nella difesa avversaria. Poi cade nelle provocazioni di Chiellini e rimedia il primo rosso della sua carriera italiana. Comunque sanguigno. Per fortuna.

Bojan 5: nel primo tempo tocca lo stesso numero di palloni del raccattapalle con cui condivide la fascia. Nella ripresa non scende proprio in campo. Pessimo.
(12'st Borini 5.5: ribaltare una gara del genere è difficile, sebbene nelle sue corde. Qualche minuto per svettare di testa, tirare alto sopra la traversa dopo un'invenzione di Totti e metterci il solito veleno. Non basta, ma è sicuramente più di quello che ha fatto Bojan)

All. Luis Enrique 5: niente esclamazioni, solo interrogativi. Perché cambiare 2/4 della difesa, reparto più affidabile delle ultime gare? Perché mettere Kjaer, centrale lento, impacciato e impaurito contro la squadra più rapida e letale della Serie A? Perché preferire Bojan a Borini? Turn over? Eppure mancano così tanti giorni a domenica: c'è tempo per recuperare...

Luis Enriqgma: la mia formazione per Juventus-Roma

Spazio al turn over, ma con la giusta misura.

Dopo la prova convincente di sabato pomeriggio contro il Cesena, la Roma di Luis Enrique non ha tempo di adagiarsi sugli allori.

Questa sera, infatti, bisognerà già provare a confermarsi. L'imperativo è conquistare la continuità invocata più volte dal tecnico asturiano.

E quale miglior avversario se non l'imbattuta Juventus di Antonio Conte, per comprendere se si è davvero e finalmente diventati grandi?

Anche perché in palio, oltre alla soddisfazione di regalare il primo dispiacere della stagione ai bianconeri, ci sono le semifinali di Coppa Italia, competizione da sempre molto vicina ai colori giallorossi.

In una Torino che si è svegliata avvolta da una fitta coltre di nebbia, la Roma di Luis Enrique dovrebbe scendere in campo con un paio di modifiche rispetto al match contro il Cesena.

Presente Stekelenburg in porta, la linea difensiva sarà confermata per 3/4: partiranno titolari Rosi e Taddei sugli out e Heinze al centro. Juan, invece, sarà sostituito da Simon Kjaer.

In mediana spazio a Gago e Pjanic, con Simplicio che si giocherà una maglia da titolare con Greco e Perrotta. Per ora il brasiliano appare in leggero vantaggio.

In avanti il tridente delle meraviglie costituito da Totti, Lamela e Borini. Attenzione a Bojan, però, che potrebbe essere lanciato a sorpresa nella mischia.

La mia formazione: Stekelenburg; Rosi, Kjaer, Heinze, Taddei; Gago, Pjanic, Simplicio; Totti, Lamela, Borini

lunedì 23 gennaio 2012

Passato, presente e futuro si incontrano in un punto preciso: il tiro di Totti. Primo in tutto...


Non occorre scomodare vecchi e impolverati tomi di fisica quantistica per dimostrarlo. Né richiamare alla memoria perse quanto inutili teorie liceali. Sono le sensazioni a parlare, trasformandosi, come spesso accade, in dati di fatto. In realtà. In vita.

Passato, presente e futuro non esistono. O meglio, non possono esistere nello stesso momento. Perché il tempo non può avere un prima, un adesso o un dopo. Semplicemente c'è. E' un flusso. Un continuo.

Eppure, sabato pomeriggio, con scenario lo stadio Olimpico di Roma, c'è stato un momento in cui passato, presente e futuro si sono incontrati. Per meglio dire incrociati. Come linee tirate e tracciate da chissà quale architetto e per quale motivo. E quel momento è arrivato al secondo numero 45. Vantando una posizione spaziale ben precisa: sei metri all'interno dell'area di rigore del Cesena, spostata sulla destra. Il colpo di tacco di Lamela, il tiro di Totti, il record di Nordhal frantumato dopo 53 anni. Presente, passato e futuro irriconoscibili, mescolati, agitati, dilatati, trasformati in una sfera che deve entrare in rete. Perché è scritto. Perché non può essere che così.

Primo. Primo a segnare. Primo a farci alzare dal seggiolino. Primo il minuto. Primo tra i bomber con la stessa maglia. Primo a mettere la fascia da capitano. Primo a ricevere la maglia, con qualsiasi allenatore. Primo a mettersi a disposizione. Primo a prendersi le responsabilità. Primo a difendere tecnico, progetto, idea, società. Primo in tutto.

E scusateci se Roma-Cesena 5-1, quarta vittoria consecutiva, terzo posto ad un passo, prova superlativa di Juan, Borini, Pjanic e Gago, scelte di nuovo azzeccate di Luis Enrique, risulta essere un contorno, seppur splendido.

Tutto in questa gara è richiamo a qualcos'altro, che potendo, vorremmo raccontare insieme. Non possiamo: problemi di linearità della lingua.

L'ultima volta che la Roma rifilò cinque gol ad un avversario accadde sette anni fa: stagione 2004/2005. Anche in quell'occasione venne scalzato un record. Quello di Pruzzo, fino a quel momento re dei bomber giallorossi con 106 gol. Indovinate un po' chi fu a frantumarlo?

sabato 21 gennaio 2012

Roma-Cesena: le pagelle. Totti, da dieci in tutti i sensi: è nella storia!


Stekelenburg 6: il gol di Eder, tra l'altro arrivato al termine di una grande giocata, gli rovina l'ennesima giornata da spettatore non pagante. Si rifa qualche minuto più tardi, quando intercetta con la punta della manona, un dribbling del numero 7 bianconero, lanciato solo a rete.

Rosi 6.5: altra partita perfetta. Sull'out scende che è un piacere e finalmente riesce ad inventare anche qualche cross interessante. Ormai è padrone assoluto della fascia destra.

Heinze 6.5: sarà un caso, ma quando c'è lui al centro della difesa, si soffre davvero pochissimo. Specialmente sui calci piazzati: ogni pallone alto è suo. Di diritto.

Juan 7.5: corona una prestazione perfetta con il primo gol in campionato, siglato raccogliendo una corta respinta di Antonioli. Quando decide di giocare non ce n'è per nessuno. Chiedete a Candreva se non ci credete: superato in dribbling, con un colpo di tacco, al limite dell'area di rigore.
(32' st Kjaer sv: qualche minuto per prendere confidenza con la squadra e gli schemi. Mostra sempre i soliti limiti in fase di impostazione)

Taddei 6.5: giornata di poche preoccupazioni: dalle sue parti, infatti, non si corre praticamente nessun pericolo. Il brasiliano è anche libero di affacciarsi in avanti e provare qualche giochino dei suoi. Chiude con la fascia da capitano e per la seconda volta consecutiva. Mica male no?

Gago 6.5: assente De Rossi, è lui ad accomodarsi in cabina di regia, a tirare le leve che manovrano la squadra. Fa il suo compitino senza sbavare e rischiando il giusto. Nella ripresa, dopo l'ingresso di Viviani, si sposta nel ruolo di intermedio: in quella posizione può sfogare tutta la sua grinta.

Pjanic 7: parte da intermedio, chiude nel ruolo di trequartista, regalando assist come fossero cioccolatini. Il primo gol sotto la Sud, poi, non si scorda mai: ci prova col destro, Antonioli respinge alla meglio, ma nulla può sul successivo, potentissimo, sinistro. Difficile ricordare un simile impatto sul campionato italiano di un ragazzo giovanissimo, alla prima esperienza in Serie A

Greco 6.5: mezzo voto in più per l'assist che porta al gol di Borini. Per il resto appare sempre in ritardo e poco pulito. In una vittoria così larga, però, ha anche lui i suoi meriti.

Lamela 7: sessanta secondi e un colpo di tacco sensazionale permette a Totti di siglare l'1-0. Altri quattrocentoventi per il cross che porta alla bomba al volo del Capitano che vale il 2-0. Poi solo giocate che fanno venire la pelle d'oca. Gli manca unicamente il gol.
(7'st Bojan 6.5: si affanna come un dannato e solo uno strepitoso intervento di Antonioli, l'unico della partita, gli nega il gol che potrebbe sbloccarlo. Sarà per la prossima, magari già a Torino)

Totti 10: in soli 7 minuti compie altri due passi nella storia, riscrivendola. Non si stanca mai di far registrare nuovi record, così come non si stanca di correre e sacrificarsi per la squadra. Nella ripresa rincorre per cinquanta metri un emerito sconosciuto, per poi chiuderlo in scivolata, in fallo laterale. Meno male che era finito... 211 messaggi d'amore a chi continua a criticarlo, 266 totali.
(20' st Viviani 6.5: torna nel ruolo che gli risulta più congeniale, quello di playmaker e prova a mettere ordine. La gara, che va spegnendosi, lo aiuta)

Borini 7: corre, lotta, tira, segna. London Borini è sempre decisivo. La Roma, soprattutto in questo momento, non può fare a meno di lui.

All. Luis Enrique 7: la gara di Catania sembra avergli insegnato molto. Fuori Kjaer, Simplicio e Bojan e dentro i più rocciosi Heinze, Greco e Borini. I risultati si vedono e anche i gol, finalmente, che cominciano ad arrivare come il tecnico asturiano, ad inizio stagione, aveva promesso. Adesso sotto con la Juventus.

Arbitro Giannocaro 6: il secondo gol di Totti è in fuorigioco, ma lui non può vederlo e l'assistente non lo aiuta. Non sanziona, però, due interventi in area di rigore che varrebbero il penalty. il primo su un tiro di Pjanic, deviato vistosamente con la mano e una strattonata su Bojan. Il risultato promuove anche lui.

Luis Enriqgma: la mia formazione per Roma-Cesena

De Rossi e Pizarro out. Caprari e Viviani in. Lamela completamente recuperato.

Queste le principali notizie che arrivano dalla nuova lista dei convocati fornita da Luis Enrique a poche ore dalla sfida contro il Cesena. Nulla di strano o di inimagginabile, come accadeva nei primi tempi dell'avventura romana del tecnico asturiano, ma scelte assolutamente prevedibili e preventivate.

Anche per questo motivo, la formazione che affronterà l'anticipo dell'ultimo turno del girone d'andata, non dovrebbe presentare molte novità.

Con Stekelenburg in porta, la linea difensiva sarà costituita da Taddei a sinistra, Juan e Kjaer al centro e Rosi a destra. Heinze, dunque, ancora una volta sarà costretto ad accomodarsi in panchina, pronto a subentrare all'occorrenza. A centrocampo, visto il forfait forzato di Daniele De Rossi, che dovrebbe tornare a disposizione per il match di martedì sera contro la Juventus, il ruolo di playmaker sarà ricoperto da Gago, affiancato da Simplicio e Pjanic.

In avanti, nonostante le varie forme di tridente provate da Luis Enrique che vedevano la costante presenza di Borini, il trio d'attacco sarà costituito da Lamela, Totti e Bojan.

L'undici titolare per Roma-Cesena: Stekelenburg; Taddei, Juan, Kjaer, Rosi; Gago, Pjanic, Simplicio; Lamela, Totti, Bojan.

sabato 14 gennaio 2012

Luis Enriqgma: la mia formazione per Catania-Roma

Il primo confronto tra Montella e Luis Enrique. Il passato glorioso, contro un presente che si spera, diventi presto futuristico.

Il ritorno a Catania. Mai terra di conquiste e nemmeno di grandi accoglienze per i nostri colori.

La presenza di Maxi Lopez. Uno dei nomi papabili del mercato giallorosso, per riempire la casellina "attaccante" lasciata vuota da Marco Borriello e andare a rimpinguare la già ampiamente rappresentata colonia argentina-romana.

Quante storie in una, in questo Catania-Roma. Terzo match (contando la Coppa Italia) di questo 2012 e primo vero punto di svolta della stagione di Totti e compagni. Proprio attorno al Capitano giallorosso, nel pomeriggio di ieri, si è aperto un piccolo giallo. Il numero dieci, infatti, ha lasciato anticipatamente l'ultimo allenamento prima della partenza per Catania, ma solo in via precauzionale, si sono affrettati a far sapere da Trigoria, a causa di un leggero affaticamento muscolare, che sarà rapidamente smaltito. Totti sarà, dunque, ancora il punto di riferimento del reparto avanzato giallorosso, che dovrebbe essere costituito dal sempre più convincente Lamela e da una new entry: Fabio Borini. La prestazione dell'ex Swansea contro la Fiorentina, infatti, avrebbe convinto Luis Enrique a dargli una chance dal primo minuto, al posto di un Bojan tanto voglioso quanto inconcludente. In trasferta, poi, e lo testimoniano le gare di Parma, Milano e Genova, Borini è sempre stato preferito agli altri attaccanti, anche ad un Osvaldo in grande stato di forma.

Per il resto poche novità. Con Stekelenburg, ovviamente, tra i pali, la linea difensiva vedrà il rientro di Rosi a destra e Juan al centro, reparto completato da Heinze e Taddei. In mediana, invece, spazio al trio delle meraviglie De Rossi, Gago, Pjanic, con Simplicio pronto a subentrare all'occorrenza.

Ecco il "mio" undici titolare per la sfida contro il Catania:

Stekelenburg; Rosi, Juan, Heinze, Taddei; De Rossi, Gago, Pjanic; Totti, Lamela, Borini.

giovedì 12 gennaio 2012

Lionel Messi, il calcio fatto persona. Ma non lo si può spiegare...

Spiegare Lionel Messi sarebbe come tentare di spiegare la gioia che si prova nel vedere un pallone rotolare lungo un prato verde. Se per la gara di un Mondiale o per una semplice scampagnata tra amici, non ha importanza. Quando una sfera si mangia in velocità il terreno, che sia di erba, pozzolana o asfalto, produce una sola sensazione: felicità.

Chi non ama il calcio non può capire. Come spiegare a qualcuno che non ha mai annoverato il pallone tra le proprie fedi (esatto, non passioni!), che esistono diversi modi di esultare e diversi tipi esultanze? Si può gioire per un gol della propria squadra. Per quello di un'altra su un campo differente. Addirittura per quello di un giocatore di una formazione avversaria, che non ha mai vestito, e probabilmente mai vestirà, la tua maglia.
E' impossibile farlo. Come cercare di spiegare Lionel Messi.

Guardando giocare il talento argentino, si ha una sola impressione. Che a tratti sfiora addirittura la blasfemia. Messi è il calcio fatto persona. E non lo diciamo forti del fatto che il fantasista blaugrana ha raggiunto, in soli dieci anni di carriera (otto ad alti livelli) il suo terzo pallone d'oro consecutivo. Impresa, in passato, riuscita solo ad un certo Michel Platini. Uno che, non a caso, chiamavano Le Roi, il re. Ma perché la sua storia, come quella di ogni predestinato, sembra avere un motivo preciso in ogni istante. Somigliando più ad una fiaba, che ad una leggenda.

Messi comincia a giocare a calcio a cinque anni, nel Grandoli, la squadra allenata dal padre. E' il più piccolo della rosa, ma anche il più forte. Tre anni dopo passa al Newell's Old Boys. Tocca la palla come nessuno e, nonostante la sua statura, salta avversari come birilli, meritandosi il soprannome di Pulga, la pulce. Epiteto che non lo lascerà mai.
Messi segna. Segna ancora. E se può, lo fa di nuovo. Così come qualche osservatore, che allo stesso modo continua a segnare il suo nome su un taccuino. Un numero talmente alto di volte, da rendere necessario un provino. E' partita la caccia al nuovo Maradona. Tutti i più importanti club argentini vogliono strappargli un contratto.

Come spesso accade, però, il sogno vira improvvisamente, tramutandosi in incubo. Il ragazzo non cresce e i genitori cercano di capirci qualcosa in più. Gli viene diagnosticato l'ipopituitarismo, tecnicamente una deficienza di secrezione di somatotoprina. Il rischio concreto è il nanismo. Servono cure costose e immediate. La folla che sarebbe stata pronta a tutto per accaparrarsi il nuovo fenomeno, si fa da parte. Compresi River Plate e Boca Juniors. Rimane in piedi una sola strada. La più folle e dunque anche la più percorribile. Quella che porta in Europa. E' il Barcellona a credere in lui, caricandosi di tutte le spese: il cartellino, il trasferimento, suo e della famiglia, e le necessità mediche. Messi approda in Spagna e firma il suo primo contratto in blaugrana il primo marzo 2001. Su un tovagliolo, sul cofano della macchina del ds Carles Rexach.

Il resto è storia di oggi. E lo racconta una bacheca, talmente piena, da sembrare colma. Salvo poi, ogni anno, trovare spazio per qualche altro trofeo. Cinque campionati spagnoli, una Coppa di Spagna, cinque Supercoppa di Spagna, tre Uefa Champions League, due Supercoppa Europee, due Mondiali per Club, un oro Olimpico e un Mondiale Under 20. In mezzo tanti di quei titoli individuali da mettere i brividi.

“Non sarà mai come Maradona. Pele. Cruyff. Van Basten. Ronaldo. Totti”. Come termine di paragone, metteteci chi vi pare. Il senso non cambierà. Avranno ragione tutti. E nessuno.
Questo è l'ennesimo lato bello del calcio: chiunque può parlarne, senza timore di smentita. Il pallone è lo sport più popolare che esista: bastano due sassi e una sfera di cuoio e si può dar inizio alla festa. Nessun'altra attività potrà somigliargli. Provate a giocare a basket, o a tennis, oppure a pallavolo con le sole cose che avete indosso. Non ci riuscirete mai.
Il calcio è bello. Così come lo è Lionel Messi. Ma come capirlo, se non lo si vive sulla pelle?

Un'enigma, però, il talento argentino sembra averlo risolto. E con grande facilità. Come può un ragazzino nato piccolo e condannato a restarlo per l'eternità, guardare tutti dall'alto al basso? Semplice. Salendo sul gradino più alto del podio. Sempre.

London Borini calling. La Roma risponde presente


“London Borini calling” avrebbero urlato i Clash in preda al furore. Borini chiama. E la Roma risponde. Non dall'oltretomba, da dove la band britannica provava a scuotere la propria generazione, ma di certo da quel luogo della mente che di mercoledì sera, con soli due gradi sul termometro, ti farebbe fare tutto, piuttosto che giocare una partita di calcio. E invece...

London Borini calling, dunque. Senza dimenticare Perrotta. Perché se qualcuno ha modellato un indefinito pezzo di creta, trasformandolo nell'ennesima qualificazione ai quarti di finale di Coppa Italia, quelli sono stati certamente l'ex attaccante del Chelsea e il super Simo nazionale. Certo, poi, ci sono volute la classe, l'eleganza e il talento di Erik Lamela a perfezionare il tutto. Ma si sa, l'artista prende lo scalpello in mano solo per dare un senso all'opera. Della serie: “Perché non parli...”

A Perrotta sono bastati 45 minuti più recupero per ricordare a tutti di che professionista ci si era dimenticati. Entrato al posto di un intermittente Viviani, penalizzato anche dal ruolo di intermedio nel quale Luis Enrique ha voluto sperimentarlo, il numero 20 giallorosso ha sùbito dato la scossa a compagni e pubblico. Il recupero in scivolata su un Cerci tanto sopravvalutato quanto svagato è l'immagine perfetta della sua voglia. La stessa che stava consumando da tempo Fabio Borini. London è sembrato entrare in campo come in preda ad un bisogno impellente: la caparbietà di un Gattuso e la necessità di fare gol di un Inzaghi. Dopo aver messo lo zampino sulla rete del 2-0, sfrutta l'errore di Neto per siglare il suo primo gol all'Olimpico. Eravamo stati buoni profeti: con un Borini in queste condizioni, tornare sul mercato, soprattutto in attacco, non sembra avere molto senso.

Roma-Firenze. Andata e ritorno in 38 giorni. Come viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, lungo una parabola che dall'altro da te, è capace di riportarti a casa. In mezzo la fine di un anno solare e l'inizio di un altro, cinque risultati utili consecutivi, dei quali quattro vittorie, porta inviolata da più di 210 minuti, invisibili cambi societari e tuffi in piscina.

Un unico punto in comune: Cicinho. Passato dal lettino dei massaggi a quello dell'analista. “Mi scuso con i tifosi per tutte le volte che ho detto di andar via. Ora voglio restare”. La valigia sul letto, però, assomiglia tanto a quella di un lungo viaggio...

mercoledì 11 gennaio 2012

Roma-Fiorentina: le pagelle. Lamela immenso, ma la vittoria è da dividere a metà con Borini e Perrotta

Stekelenburg 7: pronti-via è chiamato ad un paio di interventi davvero scomodi. Uno sulla conclusione ravvicinata di Ljaic, al quale non concede nemmeno l'angolo, l'altro su un'azione flipper che corre lungo la linea di porta, prima di concludersi tra le sue braccia. Nella ripresa, sulla conclusione a botta sicura di Behrami è salvato in extremis da un compagno. Poi più niente. Solo tanto freddo. Terza gara consecutiva imbattuto.

Cicinho 6.5: Luis Enrique, orfano di Rosi, lo getta nella mischia quasi a sorpresa, preferendo la sua voglia di rivalsa, all'ennesimo spostamento di Taddei a destra. Il brasiliano, sul mercato ormai da mesi e con la valigia sempre pronta per tornare in patria, lo ripaga con una prova tutto sommato sufficiente, senza infamia, né lode. La pessima prestazione di un mese fa, in quel del Franchi, è completamente dimenticata. I fischi dell'Olimpico meno.
(23' st José Angel 6.5: riprende esattamente da dove aveva interrotto la gara contro il Chievo: corsa e quantità. Sembra in ripresa, ma al momento del suo ingresso il risultato è più che acquisito)

Heinze 7: l'impressione è che senza di lui la difesa non possa proprio presentarsi in campo. Dove non arrivano le gambe, ci pensa la voce: scuote e incita i propri compagni di reparto. Sbaglia pochissimo.

Kjaer 5.5: tornare in campo dopo un infortunio muscolare (il secondo al flessore), arrivato nel tentativo di rincorrere un velocissimo Di Natale, non deve essere facile. Soprattutto quando dalla testa, non si riesce a far uscire l'errore che ha condizionato il derby. Nel primo tempo non azzecca un intervento, soffrendo la rapidità e i movimenti di Jovetic e Ljiac. Cresce nella ripresa, insieme al risultato e a tutta la squadra.

Taddei 6.5: tre giorni, 180 minuti, tre cambi di fascia. Con il Chievo ha giocato a destra, con la Fiorentina comincia a sinistra, per poi chiudere, al momento dell'ingresso di José Angel, dalla parte opposto. Eppure il suo rendimento non cambia.

Gago 6.5: titolare dopo più di un mese di assenza, ritrova il suo ruolo più congeniale, quello di playmaker. Inventa le giuste geometrie, ma dà l'impressione di poter osare ancora qualcosa in più.

Viviani 6: la chance che gli concede Luis Enrique è importante e lui prova a sfruttarla al massimo delle sue potenzialità. Ovvio che può fare di più, probabilmente non lo aiuta nemmeno il cambio di ruolo, ma aspettiamolo con pazienza. Diventerà un grandissimo.
(1' st Perrotta 7: il 3-0 finale è per gran parte merito suo e nessuno può negarlo. Dal suo ingresso, la gara della Roma, infatti, subisce come un'impennata. Dinamismo e quantità in ogni zona del campo. Professionista esemplare, non è affatto un rincalzo.)

Greco 5: probabilmente la peggiore gara della sua stagione. Appare statico, meccanico e sulle gambe. Incomprensibile tenerlo in campo 90'.

Bojan 6: meno brillante rispetto al match contro il Chievo, strappa la sufficienza, ma non convince a pieno.
(15' st Borini 7.5: ha voglia di spaccare il mondo e si vede fin da subito. Recupera tantissimi palloni, come fosse un mediano vecchia maniera e sotto porta sembrato torna il cecchino che aveva conquistato Londra e in particolare il quartiere di Chelsea. Serve a Totti un pallone che il Capitano trasforma nell'assist per il 2-0, poi si inventa il gol che chiude la gara. Il secondo in maglia giallorossa. Ben tornato, Fabio!)

Lamela 8: non ci sono più parole per descriverlo. Sigla la prima doppietta con questa maglia, segnando con una tranquillità e una semplicità estrema, due gol che, invece, tanto facili non sono. Continua ad essere decisivo, confermandosi pedina insostituibile di questa squadra. E' il vero crack della stagione.

Totti 7: nonostante non brilli come al solito, alla fine della fiera, si mette comunque in tasca due assist. Oltre ad una quantità di giocate di grandissima classe ed alto coefficiente di difficoltà. Gli manca solo il gol, che Neto, con un grande intervento, gli nega nel primo tempo. Rimane in campo per novanta minuti, come un Capitano vero.

All. Luis Enrique 7: quando ad inizio gara l'occhio ti cade sulla formazioni ufficiali, ti chiedi se un destino beffardo ti abbia portato indietro di un mese. Precisamente a quella nefasta domenica pomeriggio di dicembre, che vide la Fiorentina asfaltare una Roma impaurita e irriconoscibile. Cicinho in campo e Pjanic fuori sembrano le due scelte più discutibili. Il risultato premia le idee del tecnico asturiano, che ancora una volta azzecca anche i cambi. Sempre più padrone della squadra e dell'intero ambiente romano. Chapeaux.

Arbitro De Marchi 6.5: sempre padrone della gara, aiutato anche dall'inerzia del match che non lo mette mai di fronte ad episodi di difficile interpretazione.  

martedì 10 gennaio 2012

Il flauto magico: Totti suona e tutti gli vanno dietro


Gli esterni. Alti o bassi non fa differenza. I terzini. Le ali. Gli out. Chiamatele un po' come volete, ma sono le fasce nel calcio moderno a fare la differenza. E dunque anche nel gioco della Roma, che di nuovo e futuristico ha tutto, ma talmente ben frullato insieme, da sembrare niente.
Due sono le parole che possono descrivere perfettamente il primo match del 2012: intensità e continuità.

Intensità perché non è mai semplice rientrare dalle vacanze, dopo aver chiuso l'anno solare al top e riprendere esattamente da dove ci si era fermati. Con la stessa cattiveria, la stessa convinzione.
Continuità e non solo nel risultato. Nell'inviolabilità della porta di Stekelenburg, che chiude la seconda gara consecutiva imbattuto. In una formazione titolare sempre più simile alla precedente. Finalmente. E che infortuni a parte sarebbe potuta essere per la prima volta in stagione identica.

Intensità e continuità, dunque. Sebbene sia un'intuizione tattica di Luis Enrique a cambiare la gara. L'inversione di Bojan e Lamela. Un mancino a destra e un destro a sinistra. Non a caso il calcio di rigore che sblocca il match arriva da un'accelerazione dell'argentino, azione molto simile a quella dell'1-0 del San Paolo.

"Non siamo una banda musicale e non lo siamo mai stati" ha dichiarato a fine partita Luis Enrique. Nulla di più vero, sebbene qualcuno che suona il flauto e si porta tutti dietro c'è e si chiama Francesco Totti. Decisivo come al solito e sempre più consapevole del proprio ruolo di guida per i compagni di squadra.

18 19 22. Nessuna cabala particolare legata a questi numeri. Solo l'età dei tre attaccanti con cui la Roma ha chiuso la partita, quella di Caprari, Lamela e Bojan. Questo il motivo per cui sembra inutile tornare sul mercato, specialmente in attacco: meglio sarebbe dar fiducia ai propri ragazzi, dei quali fa parte anche Borini e attendere, con pazienza, il rientro di Osvaldo.

A proposito di mercato: qualcuno fermi il binario del treno Roma-Torino, che troppo simile alla ferrovia trans siberiana procede solo in un senso. Tra l'altro sembra che lassù, i nostri regali, non siano nemmeno troppo graditi.

domenica 8 gennaio 2012

Roma-Chievo: le pagelle. Totti, ritardo perdonato. Lamela è il calcio! Bojan deve essere più cinico

Stekelenburg 6.5: inoperoso per gran parte della gara, deve mettere le mani solo su un colpo di testa velenoso di Pellissier. Chiude imbattuto la seconda gara consecutiva. Mica male. 

 Taddei 6.5: destra, sinistra, centro. Mettetelo dove volete, lui sfodererà la solita prestazione di grandissima intensità. Gioca terzino solo da qualche mese eppure sembra correre lungo la fascia da una vita. Non sbaglia una chiusura e in fase propositiva fa impazzire i suoi avversari. Ormai non si può più parlare di sorpresa.

Juan 7: al posto giusto, al momento giusto. Sembra tornato ai suoi grandissimi livelli. L'obiettivo sarà mantenerli il più a lungo possibile.

Heinze 7: guida la difesa con grande maestria e con la solita cattiveria. È indispensabile per questa difesa.

Josè Angel 6: parte timoroso, poi cresce con il passare dei minuti, senza convincere mai fino in fondo. Appare ancora troppo confusionario e poco funzionale alla manovra. L'errore su fallo da laterale che innesca il contropiede del Chievo è da insufficienza grave. Salva il giudizio solo grazie a Moscardelli e al risultato finale. 

De Rossi 7.5: nonostante in questa settimana si sia allenato a singhiozzo si rende protagonista della consueta prova sopra le righe. Esce sfinito e l'Olimpico gli regala un'infinita standing ovation. Gli applausi del suo pubblico, oltre che ringraziarlo, sembrano chiedergli anche qualcosa. La firma. 
(31' st Greco sv. entra in campo subito dopo il raddoppio di Totti. C'è solo da osservare lo scorrere dell'orologio. E aspettare...)

Pjanic 7: un po' più nervoso rispetto al solito e anche meno pulito. Ha dalla sua la grande facilità di intuire il tipo di partita e interpretarla nel modo giusto. Sta diventando inamovibile.

Simplicio 7: quarta partita da titolare ed ennesima prova convincente. In campo a sorpresa al posto di Gago, è il vero cervello del centrocampo giallorosso. Mette lo zampino in ogni azione.
(22'st Gago 6 torna dopo un mese di assenza forzata. Deve riprendere il ritmo partita)

Totti 8: festeggia il ritorno al gol con una maglia splendidamente autoironica. Comprendere la differenza che passa tra il suo essere o non essere in campo è semplice quanto capire la differenza tra la luce e il buio. "Scusate il ritardo". E come non potremmo, Capitano?  (45'st Caprari sv)

Bojan 6.5: ha l'arduo compito di sostituire l'uomo più prolifico di questa squadra, Osvaldo, ma entra in campo senza alcun timore. Manca del cinismo necessario a concretizzare le tante occasioni che gli capitano tra i piedi. Deve crescere.

Lamela 7: questo ragazzo è il gioco del calcio! Parte sulla destra, ma diventa realmente pericoloso sulla sinistra, out lungo il quale si procura anche il calcio di rigore in un'azione molto simile a quella che aveva sbloccato il match del San Paolo. Ogni volta che tocca la palla si ha la certezza che sta per succedere qualcosa. Il bello è che l'argentino non solo è concreto, ma anche bello da vedere. E ha solo 19 anni! 

All. Luis Enrique 7: conferma per 9/11 la formazione di Bologna, dando l'impressione che, infortuni permettendo, avrebbe voluto metterla in campo identica. Non sbaglia nulla, nemmeno un cambio. Finalmente si dimostra pazzo e savio con lo stesso grado d'intensità. Avanti così. 

Arbitro Russo di Nola 5.5: per larghi tratti sembra davvero in confusione, invertendo anche le punizioni più semplici. Assegna due rigori dubbi, bilanciando comunque almeno altre due decisioni errate, sempre in area di rigore.

Luis Enriqgma: la mia formazione per Roma-Chievo

Diciamoci la verità. Non è più l'impresa impossibile di qualche settimana fa. Eppure, provare ad indovinare l'undici titolare pensato, plasmato e poi schierato da Luis Enrique ha ancora il suo fascino.

Reduce dai tre risultati utili consecutivi, nelle gare forse più difficili della prima parte stagione, la Roma sembra aver raggiunto una fisionomia che azzarderei a descrivere come definita. Motivo che potrebbe spingere il tecnico asturiano a confermare gran parte dei giocatori visti all'opera alla fine del 2011, senza rivoluzionare una formazione già ampiamente sfigurata da cessioni e infortuni.

Con Stekelenburg in porta, la linea difensiva sarà costituita da Taddei, Heinze, Juan e Josè Angel. Non dovrebbe farcela, infatti, Rosi: il terzino destro, frenato da un brutto attacco influenzale, ha saltato due allenamenti e si è rivisto in campo solo per la seduta di rifinitura. Difficile che parta titolare, più probabile che si accomodi in panchina pronto a subentrare all'occorrenza.

A centrocampo, nonostante i tanti fastidi muscolari, che in questa settimana lo hanno fatto allenare a singhiozzo, De Rossi sarà regolarmente in campo a ricoprire il consueto ruolo di playmaker. Ai suoi fianchi Pjanic e Gago, pienamente recuperato dopo l'infortunio al ginocchio patito durante la sfida contro la Fiorentina del 4 dicembre scorso.

In attacco confermatissimi Totti e Lamela, Bojan dovrebbe completare il trio, in attesa del recupero, che appare lungo e travagliato, di Osvaldo.

Riassumendo, ecco il mio undici per Chievo-Roma:
Stekelenburg, Taddei, Heinze, Juan, José Angel, Gago, De Rossi, Pjanic, Totti, Lamela, Bojan

martedì 3 gennaio 2012

Last Bet, il parere dello psicologo: "Calciatori malati di vita"

Avere un lavoro. Che di questi tempi non è poi così scontato. Guadagnare cifre esagerate inseguendo la propria passione che di fatto è anche un gioco. Girare il mondo. Essere belli, acclamati. Spesso invidiati.
Sembra un’assurdità, eppure tutto questo non basta per essere felici. Per molti calciatori, novelli gladiatori, eterei semi-dio, le prospettive si ribaltano in maniera talmente celere da risultare quasi invisibile, con la velocità con cui una monetina ruota alla ricerca del proprio destino. Avere tutto che significa avere niente. Essere apatici, svogliati, il più delle volte depressi. Bisognosi, al limite della dipendenza, di scosse di adrenalina sempre più forti e prolungate. Rendendo l’illegalità l’unica strada da perseguire per sedare la propria sete di vita. E se il prezzo da pagare è la propria credibilità, peggio la propria libertà, chi se ne importa. Bisogna riempire quel buco che ognuno di noi si porta dentro. Concetto che più di altri si avvicina a quello del peccato originale.
Il passaggio gioco d’azzardo-voglia di arricchirsi è talmente immediato da sembrare l’unico possibile. E, infatti, spesso lo è.
In molti dei casi. Ma non in tutti. Uno dei quali potrebbe riguardare l’inchiesta “Last Bet” e i tanti calciatori coinvolti. Questo bisogno patologico di scommettere, arrangiare, sistemare, superando con una naturalezza sconvolgente i valichi della legalità, nasconderebbe una difficoltà più profonda. Di natura psico-chimica. Questo almeno il parere di Roberto Cavaliere, psicologo e psicoterapeuta specializzato proprio in patologie da gioco d’azzardo. “Molti dei calciatori coinvolti in questo nuovo caso di calcio scommesse – esordisce lo specialista – non aveva un gran bisogno di soldi. Parlo ovviamente di Doni, Signori e Sartor che durante la loro carriera avevano accumulato talmente tanti ingaggi da poter vivere di rendita. Questo desiderio spasmodico di combinare é un meccanismo ossessivo e compulsivo del quale, però, non conosciamo le origini. Un trauma che solo un’analisi approfondita potrebbe rivelarci – continua Cavaliere – conduce ad uno squilibrio chimico che costringe questi soggetti a ricercare emozioni forti, le uniche in grado di rilasciare grandi quantità di adrenalina. Sostanza capace di modificare in maniera importante il tono dell’umore”.
La discesa nel mondo dell’illegalità è quasi inevitabile: “La trasgressione, l’andare oltre le regole, l’eccitazione del manipolare, copre i sintomi della depressione. Ma presto o tardi si arriva al capolinea”. Il rischio, però, è quello di trasformare i colpevoli in vittime: “Dal punto vista medico è innegabile – puntualizza Cavaliere – ma non da quello giuridico. La giustizia dovrà fare il suo corso”.
Giustificazioni, dunque. Psichiche e chimiche. Il manipolare i sogni e le passioni altrui come strumento per curare i propri vuoti. Queste spiegazioni basteranno per perdonare chi ci ha rotto, ancora una volta, il giocattolo?
Sarà una discesa sulla terra fin troppo violenta per questi semi-dio, che si sentono immortali nonostante siano malati di vita. Egoisti che avranno due tipi di rieducazione. La prima dovrà essere sociale. Per quella medica ci sarà tempo.