All'inizio fu l'Olanda di
Cruyff. Poi l'Inghilterra di Eriksson. E infine la Roma di Spalletti,
ma solo se era così brava da occupare i primi due gradini del podio.
Nel calcio, come nell'arte, però, solo l'imitazione di autore,
quella che copia l'idea, ma ne riempie gli spazi vuoti, causa
principale del fallimento altrui, di puro talento, è riuscita a
raggiungere qualcosa. Nemmeno a dirlo, si parla del Barcellona di Pep
Guardiola.
La strana pratica dei
ritiri sportivi. L'usanza di dormire, prima di una gara, lontano da
casa, nel centro tecnico d'allenamento, piuttosto che in albergo se
si gioca in trasferta, ha principalmente due motivi di esistenza: la
conciliazione di uno stato di concentrazione e la ricerca della
amalgama. Il terzo, quello che desta maggiori preoccupazioni, non lo
cita mai nessuno, ma solo per pudore: la paura che i giocatori si
diano al sesso più sfrenato. Se con le proprie mogli o con amanti
occasionali, interessa il giusto. L'importante è salvaguardare il
prezioso testosterone, evitandone la dispersione tra le lenzuola, per
destinarlo interamente al campo di battaglia. Ergo il terreno di
gioco.
L'argomento ritiro è
ritornato di scottante attualità a causa di una decisione singolare
del tecnico della Roma Luis Enrique: in vista della trasferta di
Napoli, alla squadra è stato concesso di partire la domenica
mattina, sfruttando l'alta velocità delle moderne ferrovie italiane
e rinunciando, di fatto, al consueto pernottamento in terra
partenopea. La scelta ha avuto effetti insperati e ha segnato una
prima volta importante nel calcio italiano: la formazione giallorossa
ha dominato il San Paolo, espugnandolo addirittura per 1-3.
Detestato dai calciatori,
venerato da presidenti e allenatori, il ritiro ha, dunque, origini e
motivazioni comuni, ma realizzazioni assolutamente differenti,
spostandoci negli anni, ma soprattutto lungo i meridiani della
cartina geografica.
L'Olanda degli anni
'70: la squadra beat. Se
“l'Arancia Meccanica” non fosse mai scesa in campo, non sarebbe
esistito il calcio così come lo intendiamo adesso. Figlia delle
rivolte del '68 nel modo di vestire dei propri giocatori, ma
soprattutto in quello di giocare, la selezione di Rinus Michels fu
talmente bella da ispirare centinaia di appassionati, pur non
vincendo nulla. Era una squadra “totale”, che per la prima volta
fece del pressing asfissiante e del fuorigioco sistematico, un
modello di gioco, sdoganando il concetto di “ruolo” e
“sessualità”. Il portiere Jongbloed non toccava quasi mai il
pallone con le mani, portava il numero otto sulle spalle e aveva
anche qualche problema alla vista. I terzini spingevano come dei
forsennati e spesso trovavano il gol. Gli attaccanti non ristagnavano
nella metà campo avversaria, ma con grande facilità rientravano per
dar man forte ai centrocampisti in fase di non possesso palla. Era
una squadra meravigliosa e invidiata, non solo per la fantasia
applicata al calcio, ma anche perché era l'unica a potersi
permettere le mogli in ritiro. Le fidanzate e le compagne dei
giocatori olandesi, infatti, erano ospiti della Federazione e
dormivano insieme ai mariti, cosa assolutamente vietata ai componenti
delle altre nazionali. L'Olanda “totale” dominò due Mondiali,
perdendoli entrambi in finale: il primo nel '74 contro la Germania
padrona di casa, il secondo nel '78 contro l'Argentina, affondata
soprattutto dalle decisioni di un arbitro italiano: Gon(n)ella. Forse
un segno del destino...
Inghilterra no,
Germania sì. Provate a dire
“ritiro” in inglese e sentirete risposte di ogni tipo. “No way”
sarà quella più gettonata. Si sa, il calcio oltre manica è sempre
funzionato in maniera differente. Quando si gioca in casa molti
atleti raggiungono lo stadio addirittura in bicicletta, se invece si
è di scena in trasferta si contano i chilometri. Per più di 200 si
opta, giustamente, per una notte in albergo, altrimenti si parte la
mattina presto in pullman, come se si fosse in gita scolastica. E la
amalgama? Quella si conquista dopo la gara in un pub. L'ubriacatura,
molesta o non, aiuta a fare gruppo.
Discorso
differente per la Germania dove per obbligo della Federazione la
squadra che gioca fuori casa deve raggiungere la città avversaria,
almeno con un giorno d'anticipo. Molto importante è l'utilizzo del
pullman della società: l'ingresso in terra nemica deve avvenire con
un mezzo “griffato”, che porti il simbolo del club. Questo
inorgoglisce e carica i giocatori. Almeno a sentire i tedeschi.
Barcellona: grande in
tutto. “Le persone comuni
prima di andare a lavoro non passano un giorno rinchiusi in hotel.
Cerco di far condurre ai miei giocatori una vita normale. Se poi non
si riposano o non si prendono cura di loro stessi, giocheranno male e
perderanno l'impiego”. Musica e parole di Pep Guardiola.
Differente, ma grande, in tutto, il tecnico del Barcellona rispondeva
così ai giornalisti che gli chiedevano il perché dell'eliminazione
delle concentraciones,
dei ritiri, molto gettonati in Spagna, soprattutto dal Real Madrid di
Mourinho. “Non faccio il poliziotto e alle dieci già dormo, per
cui non controllo i miei ragazzi. Preferisco siano a casa con le loro
famiglie, piuttosto che ad annoiarsi in un albergo”, ha ribadito
Guardiola. Questo a costo anche di fare delle figure che poco si
addicono alla squadra Campione d'Europa e del Mondo in carica. Lo
scorso anno, infatti, i blaugrana sono arrivati a Pamplona, per una
sfida contro l'Osasuna, proprio per il rotto della cuffia. A causa di
uno sciopero selvaggio dei treni, Messi e compagni hanno raggiunto il
“Reyno de Navarra” con mezz'ora di ritardo. Indovinate com'è
finita la partita?