giovedì 29 dicembre 2011

La strana pratica dei ritiri sportivi: origini e motivazioni comuni. Effetti differenti...


All'inizio fu l'Olanda di Cruyff. Poi l'Inghilterra di Eriksson. E infine la Roma di Spalletti, ma solo se era così brava da occupare i primi due gradini del podio. Nel calcio, come nell'arte, però, solo l'imitazione di autore, quella che copia l'idea, ma ne riempie gli spazi vuoti, causa principale del fallimento altrui, di puro talento, è riuscita a raggiungere qualcosa. Nemmeno a dirlo, si parla del Barcellona di Pep Guardiola.
La strana pratica dei ritiri sportivi. L'usanza di dormire, prima di una gara, lontano da casa, nel centro tecnico d'allenamento, piuttosto che in albergo se si gioca in trasferta, ha principalmente due motivi di esistenza: la conciliazione di uno stato di concentrazione e la ricerca della amalgama. Il terzo, quello che desta maggiori preoccupazioni, non lo cita mai nessuno, ma solo per pudore: la paura che i giocatori si diano al sesso più sfrenato. Se con le proprie mogli o con amanti occasionali, interessa il giusto. L'importante è salvaguardare il prezioso testosterone, evitandone la dispersione tra le lenzuola, per destinarlo interamente al campo di battaglia. Ergo il terreno di gioco.
L'argomento ritiro è ritornato di scottante attualità a causa di una decisione singolare del tecnico della Roma Luis Enrique: in vista della trasferta di Napoli, alla squadra è stato concesso di partire la domenica mattina, sfruttando l'alta velocità delle moderne ferrovie italiane e rinunciando, di fatto, al consueto pernottamento in terra partenopea. La scelta ha avuto effetti insperati e ha segnato una prima volta importante nel calcio italiano: la formazione giallorossa ha dominato il San Paolo, espugnandolo addirittura per 1-3.
Detestato dai calciatori, venerato da presidenti e allenatori, il ritiro ha, dunque, origini e motivazioni comuni, ma realizzazioni assolutamente differenti, spostandoci negli anni, ma soprattutto lungo i meridiani della cartina geografica.

L'Olanda degli anni '70: la squadra beat. Se “l'Arancia Meccanica” non fosse mai scesa in campo, non sarebbe esistito il calcio così come lo intendiamo adesso. Figlia delle rivolte del '68 nel modo di vestire dei propri giocatori, ma soprattutto in quello di giocare, la selezione di Rinus Michels fu talmente bella da ispirare centinaia di appassionati, pur non vincendo nulla. Era una squadra “totale”, che per la prima volta fece del pressing asfissiante e del fuorigioco sistematico, un modello di gioco, sdoganando il concetto di “ruolo” e “sessualità”. Il portiere Jongbloed non toccava quasi mai il pallone con le mani, portava il numero otto sulle spalle e aveva anche qualche problema alla vista. I terzini spingevano come dei forsennati e spesso trovavano il gol. Gli attaccanti non ristagnavano nella metà campo avversaria, ma con grande facilità rientravano per dar man forte ai centrocampisti in fase di non possesso palla. Era una squadra meravigliosa e invidiata, non solo per la fantasia applicata al calcio, ma anche perché era l'unica a potersi permettere le mogli in ritiro. Le fidanzate e le compagne dei giocatori olandesi, infatti, erano ospiti della Federazione e dormivano insieme ai mariti, cosa assolutamente vietata ai componenti delle altre nazionali. L'Olanda “totale” dominò due Mondiali, perdendoli entrambi in finale: il primo nel '74 contro la Germania padrona di casa, il secondo nel '78 contro l'Argentina, affondata soprattutto dalle decisioni di un arbitro italiano: Gon(n)ella. Forse un segno del destino...

Inghilterra no, Germania sì. Provate a dire “ritiro” in inglese e sentirete risposte di ogni tipo. “No way” sarà quella più gettonata. Si sa, il calcio oltre manica è sempre funzionato in maniera differente. Quando si gioca in casa molti atleti raggiungono lo stadio addirittura in bicicletta, se invece si è di scena in trasferta si contano i chilometri. Per più di 200 si opta, giustamente, per una notte in albergo, altrimenti si parte la mattina presto in pullman, come se si fosse in gita scolastica. E la amalgama? Quella si conquista dopo la gara in un pub. L'ubriacatura, molesta o non, aiuta a fare gruppo.
Discorso differente per la Germania dove per obbligo della Federazione la squadra che gioca fuori casa deve raggiungere la città avversaria, almeno con un giorno d'anticipo. Molto importante è l'utilizzo del pullman della società: l'ingresso in terra nemica deve avvenire con un mezzo “griffato”, che porti il simbolo del club. Questo inorgoglisce e carica i giocatori. Almeno a sentire i tedeschi.

Barcellona: grande in tutto. “Le persone comuni prima di andare a lavoro non passano un giorno rinchiusi in hotel. Cerco di far condurre ai miei giocatori una vita normale. Se poi non si riposano o non si prendono cura di loro stessi, giocheranno male e perderanno l'impiego”. Musica e parole di Pep Guardiola. Differente, ma grande, in tutto, il tecnico del Barcellona rispondeva così ai giornalisti che gli chiedevano il perché dell'eliminazione delle concentraciones, dei ritiri, molto gettonati in Spagna, soprattutto dal Real Madrid di Mourinho. “Non faccio il poliziotto e alle dieci già dormo, per cui non controllo i miei ragazzi. Preferisco siano a casa con le loro famiglie, piuttosto che ad annoiarsi in un albergo”, ha ribadito Guardiola. Questo a costo anche di fare delle figure che poco si addicono alla squadra Campione d'Europa e del Mondo in carica. Lo scorso anno, infatti, i blaugrana sono arrivati a Pamplona, per una sfida contro l'Osasuna, proprio per il rotto della cuffia. A causa di uno sciopero selvaggio dei treni, Messi e compagni hanno raggiunto il “Reyno de Navarra” con mezz'ora di ritardo. Indovinate com'è finita la partita?

domenica 25 dicembre 2011

1000 AUGURI DI BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO!

Tanti auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo, ragazzi!!! E 1000 volte grazie!!!

Questo blog esiste da poco meno di un mese ma grazie a voi ha già raggiunto le mille visite! E tutto questo solo grazie alla vostra pazienza!

E' tempo di prendersi qualche ora di vacanza. Tornerò subito dopo Santo Stefano, spero, con tante cose interessanti da raccontarvi.

Non mangiate troppo!

Un abbraccio grande

Gabriele


venerdì 23 dicembre 2011

Il percorso non è stato circolare, ma a spirale: il nuovo DNA della Roma


La prima giornata che si gioca nell'ultimo turno dell'anno solare. Il campionato che si conclude nel punto esatto nel quale avrebbe dovuto avere inizio. Una squadra schierata in Inverno, tatticamente, così come si era pensata in estate, ma che presenta uno spirito molto più vicino al primo freddo patito al San Paolo, piuttosto che all'afa fastidiosa di Valencia o di Bratislava.

Corsi e ricorsi storici. Avvenimenti che finiscono nell'esatto punto in cui dovrebbero cominciare e viceversa. Particolari che più che rimandare alla circolarità della storia, ricordano una spirale. Quella che costituisce il DNA della Roma.

Una struttura portante che definire inedita sarebbe errato. Perché non presenta nulla di nuovo, o meglio non tutto.

E non è nemmeno questione di schieramenti, moduli o schemi con i quali giocare il pallone. Di terzini bloccati e playmaker che si abbassano fare i centrali. Di 3-4-3 in fase di impostazione o 4-2-3-1 in fase di copertura. L'equazione si è risolta altrove. Nella testa prima che nei numeri.

Nel capire che per dar vita al Progetto, bisognava lasciare che le nuove molecole si aggregassero alle vecchie. Traendone forza.

E così Osvaldo e Lamela ora hanno spazio per brillare, ma soprattutto perché Simplicio, Juan, Taddei e Totti sanno come accendere la luce.

La vittoria a Bologna non è come quella conquistata a Novara, Parma o in casa contro il Lecce. Primo perché ottenuta schiacciando una squadra in ottimo stato di forma, poi perché al Dall'Ara, in tanti avevano sofferto, compreso l'esaltato Milan capolista.

Eppure c'è ancora qualcosa che riesce a disturbare la festa giallorossa: quel fastidioso zero alla voce gol, nello score del Capitano e l'arrivo della sosta invernale, che andrà inevitabilmente a spezzare il momento dorato di questa squadra.

Nulla è perfetto.

E se esiste qualcosa di bello nell'impossibilità di raggiungere la perfezione, è certamente la sua rincorsa.
Il primo obiettivo per il 2012 sarà vincere la terza partita consecutiva. Quest'anno, non è mai successo.  

mercoledì 21 dicembre 2011

Bologna-Roma: le pagelle. Premiato Taddei, in pochi sotto il sette, come Osvaldo

Le pagelle di Bologna-Roma:

Stekelenburg 7: spettatore non pagante nel primo tempo, nella ripresa sfodera tre interventi superlativi. Solo i grandi portieri sanno mantenere la concentrazione anche dopo 45 minuti passati interamente al gelo.


Rosi 7: la maturazione e la crescita di questo calciatore sono evidenti. Inizialmente soffre la pressione di Diamanti, poi gli prende le misure ed è lui a suonare la carica. Va anche vicino al gol. Perfetto.


Heinze 7: guida la difesa con grande sapienza, tenendo alta la linea del fuorigioco. Finalmente attento anche nelle marcature sui calci d'angolo, non disdegna qualche sortita offensiva. E' insuperabile. Diga.


Juan 7: dopo il match di Napoli si rende protagonista di un'altra partita di grande pulizia. Accanto ad Heinze fornisce alla retroguardia una sicurezza che la difesa giallorossa mai in questa stagione aveva mostrato. Ritrovato.


Taddei 7.5: con una splendida volè apre le marcature, segnando il primo gol della sua "nuova" stagione da terzino. Una rete importante, per la squadra, ma soprattutto per lui, che premia un inizio di annata di grande sacrificio. Per il resto non sbaglia nulla: solito dinanismo e solita corsa. Sorriso.


De Rossi 7: continua ad abbassarsi sulla linea dei difensori, svolgendo, a tratti, il ruolo di terzo centrale, in fase di impostazione e di incontrista in fase di copertura. Ancora una volta non gli si può rimproverare nulla. Nè Di Vaio, né Mundigay o Perez vedono mai la palla.


Simplicio 7: terza presenza da titolare e terzo voto ampiamente sopra la sufficienza. Gioca in verticale davanti a De Rossi e si lascia andare anche a qualche meravigliosa leziosità che come recitava una vecchia pubblicità di un thè fa bene qui e qui. Con un colpo di tacco apre la gara e libera al tiro Francesco Totti (miracolo di Gillet), con uno splendido movimento senza palla, innesca il gol del 2-0 di Osvaldo. Mica male per uno che non solo non era stato portato in ritiro, ma che sembrava proprio fuori dal progetto. Con il ritorno di Gago tornerà di nuovo in panca?
(35' st Viviani sv: terza presenza in Serie A. Minuti importanti per acquisire esperienza)


Pjanic 6.5: tra i tre di centrocampo sembra quello leggermente più in difficoltà, ma esce alla distanza. Il modo con cui, nella ripresa, palla al piede, se ne va lasciando ben tre avversari sul posto, è da far stropicciare gli occhi. Il 2012 sarà il suo anno, ne siamo certi.
(26' st Greco sv: entra a risultato ampiamente acquisito e svolge il suo compitino senza sbavature)


Totti 8: altri punti dal suo ritorno in campo: questo per far capire l'importanza del Capitano negli schemi, ma soprattutto nei risultati, della squadra di Luis Enrique. Un solo particolare manca al completamento della festa giallorossa: l'assenza del suo gol.  Ci prova su calcio di punizione, di testa, dalla distanza, sempre senza successo. La sua grandezza sta nel non incaponirsi, nemmeno quando, nel finale, ne avrebbe pieno diritto. Continua comunque a regalare assist e giocate da grandissimo fuoriclasse. Infinito.


Lamela 7: el Coco cresce di partita in partita. La cosa che sorprende di questo ragazzo è la sua maturità tecnica e tattica: ogni numero è finalizzato a qualcosa oltre a essere bello. Impreziosisce la sua prova con l'assist per il gol di Osvaldo. Realtà.
(23' st Bojan 6: con gli ampi spazi lasciati dal Bologna sotto di un uomo e alla ricerca del gol è incontenibile. Non riesce a sfondare, ma è una questione di tempo)   


Osvaldo 7.5: al Dall'Ara, ultimo stadio che lo aveva visto protagonista in Italia, prima del ritorno a Roma, si toglie la soddisfazione di siglare la sua settima bellezza giallorossa. Il record precedente (cinque reti) è ormai dimenticato. E' un bomber: fallisce occasioni clamorose (una incredibile dopo aver saltato addirittura Gillet), ma poi trova il gol più difficile. Deve continuare a fare questo: schiaffarla al di là dei portieri avversari.


All. Luis Enrique 7: è vero, i risultati aiutano, ma bisogna metterci anche qualcosa del proprio affinché le cose vadano per il verso giusto. Confermare dieci-undicesimi della formazione che ha battuto il Napoli è un buon inizio. Tenere Francesco Totti più vicino alla porta avversaria, un ulteriore passo in avanti. Al resto ci pensa la squadra, che si diverte nel tiqui-taca insegnato dal tecnico e sfrutta il cinismo italiano della "nuova" Roma per far male agli avversari. Obiettivo del 2012: oltre all'undici titolare, trovare la forza e gli stimoli per confermare anche prestazione e risultati.

Luis Enriqgma: la mia formazione per Bologna-Roma

Si avvicina l'ultima sfida dell'anno solare. La "nuova" Roma, più italiana e meno spagnola, affronterà il Bologna. L'obiettivo è confermare quanto di buono mostrato nell'ultima settimana e soprattutto continuare a vincere. Conquistare la seconda trasferta consecutiva.

Tra i nomi dei convocati per la gara del Dall'Ara spicca l'assenza di Marco Borriello, ormai giunto ai titoli di coda della sua avventura in giallorosso. Ancora out David Pizarro, mentre torna in gruppo Fernando Gago, nonostante il cileno, in allenamento, sia apparso molto più in forma dell'argentino, che tra l'altro rischia di partire dal primo minuto.

Riguardo l'undici che scenderà in campo contro il Bologna, non dovrebbero esserci grande differenze rispetto a quello che ha conquistato il San Paolo. Confermato il quartetto di difesa, a centrocampo rientrerà certamente Miralem Pjanic, che ha scontato la squalifica per recidività di ammonizione e che si schiererà al fianco di Daniele De Rossi. Il terzo posto in mediana sarà occupato da Greco, che potrebbe essere preferito sia a Simplicio che a Gago.

In attacco spazio a Totti, Lamela e Osvaldo.

La mia formazione per Bologna-Roma: Stekelenburg, Rosi, Juan, Heinze, Taddei, De Rossi, Pjanic, Greco, Totti, Lamela, Osvaldo. 

lunedì 19 dicembre 2011

Luis Enrique si è italianizzato? In fondo chissenefrega...


Quando guardi a lungo nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro.

E così mentre il calcio italiano scrutava Luis Enrique, come fosse un alieno sbarcato da chissà quale pianeta, anche Luis Enrique guardava dentro il calcio italiano. Sebbene in maniera più nascosta.

Risultato: una Roma più ordinata, più cinica, più squadra. Che per interpreti e qualità non può evitare, pur volendolo, il tiqui-taca, ma che in giro per i campi nostrani, qualche scaltrezza sembra averla colta e assimilata.

E mentre appare quasi inutile sottolineare le prove, strepitose, di Lamela, Simplicio e Juan, il dato da evidenziare è certamente quello legato ai numeri. Perché si sa, le statistiche, non mentono mai.

La Roma non aveva mai fatto più di due gol in questa stagione fuori casa, nemmeno in amichevole e soprattutto non aveva mai tirato così tante volte in porta. La Roma fa sempre punti con Francesco Totti in campo. E spesso vince. L'ultima vittoria in campionato risaliva alla gara contro il Lecce e il Capitano c'era. Poi due assenze e due ko, quelli di Udine e Firenze, e di nuovo presenze e dunque punti nelle gare con Juventus e Napoli. Con Totti che confeziona due assist, uno più bello di un altro, per De Rossi e Osvaldo.

Così come quella spallettiana, anche quella enriquiana trova la quadratura del cerchio in condizione di emergenza. Tramutare la causalità in punto di partenza deve essere l'imperativo. Perché scoprire che un modulo funziona piuttosto che un altro, può essere anche fortuna. Confermarlo è sintomo di intelligenza.

Il quesito più in voga di oggi è: Luis Enrique si sarà italianizzato? Se questo significa essere meno logorroici nel possesso palla e arrivare prima al dunque, ben venga. 

domenica 18 dicembre 2011

Napoli-Roma: le pagelle. Lamela strepitoso, Simplicio utile, Totti porta assist e punti

Le pagelle di Napoli-Roma: 

Stekelenburg 6.5: mezzo voto in meno solo per il gol subito nel finale per mano (anzi piede) di Hamsik. Per il resto almeno tre interventi decisivi, ma soprattutto una difesa che appare ogni partita più tranquilla con il gigante olandese a difendere i pali della porta. Sta anche imparando l'italiano...

Rosi 6: nonostante rientrasse da un fastidioso infortunio e avesse, lungo il suo out, un cliente davvero scomodo come Zuniga, alla fine può sventolare una sufficienza piena. Primo tempo da rivedere, soprattutto in fase difensiva, secondo senza sbavature. Se divenisse concreto anche in zona cross...

Juan 6.5: se è in forma deve giocare. Uno dei migliori in campo a Udine, quasi impeccabile al San Paolo. Tutto dipenderà dal suoi fisico: se deciderà di smetterla con i capricci e girare a dovere, il posto al centro della difesa nessuno potrà metterlo in discussione.

Heinze 7: il modo con cui catechizza Juan alla mezz'ora del secondo tempo, è forse il più bello dei suoi interventi. Comanda la difesa a bacchetta e chiama i movimenti senza sbagliare nulla. Spesso si immola sulle conclusioni dei napoletani anche in maniera scomposta. Solito gladiatore. 

Taddei 6.5: la sua fascia è quella dove si balla di più. In fase offensiva e in fase difensiva. Quando Lavezzi, Maggio e Hamsik scendono lungo l'out sono dolori, ma il gol di Lamela e la maggior parte delle azioni più interessanti della Roma arrivano proprio dalla sinistra.

De Rossi 7: in difesa sarà straordinario, ma il suo posto è a centrocampo, nel vivo dell'azione. Annulla completamente, grazie anche all'aiuto di Greco e Simplicio, la mediana napoletana, che non riesce mai a sfondare. Impossibile chiedergli di più.

Simplicio 6.5: disinvolto. Svolge il suo compitino senza esagerare e facendo sempre la cosa giusta, con il minimo sforzo. Nel finale si toglie anche la soddisfazione di siglare il gol della sicurezza, il secondo in una stagione della quale tutto si può dire, ma non che lo veda protagonista.

Greco 6: sbaglia qualche pallone di troppo, ma dove c'è da picchiare, la sua presenza si fa sentire, eccome.
(35' st Perrotta 6: un tiraccio centrale. Può festeggiare anche lui)

Lamela 7.5: a parte il gol, magnifico, mostra numeri d'altissima scuola. Da promessa si sta trasformando pian piano in totale realtà.  

Osvaldo 6.5: tanto lavoro oscuro in pressione sugli esterni napoletani che gli toglie lucidità sottoporta. Nel primo tempo si mangia un gol "a tu per tu" con De Sanctis, nella ripresa prima spinge in rete un assist al bacio di Totti, poi spreca quello, altrettanto bello di Bojan. E quel dito sulla bocca a chi era diretto?
(26' st Bojan 6: pochi minuti per far impazzire la difesa del Napoli e mettere un pallone d'oro sui piedi di Osvaldo, incredibilmente fallito)

Totti 7: messaggio ai critici: l'ultima volta che la Roma aveva messo punti in cascina c'era il capitano in campo. Leggasi Lecce. Poi due assenze e due ko (Udine e Firenze), e nuovamente punti: uno con la Juventus, tre con il Napoli. Per di più gli assist per De Rossi contro i bianconeri e per Osvaldo al San Paolo indovinate di chi portano la firma?
(43' st Viviani sv: seconda presenza in Serie A. Sempre meglio)


Allenatore, Luis Enrique 6.5: non si sarà italianizzato, ma il gioco mostrato con la Juventus prima e con il Napoli dopo, appare quanto di più lontano dal tiqui-taca. Per la prima volta, però, ogni calciatore sembra schierato nel proprio ruolo et voilà, pensate un pò, arriva anche la vittoria su un campo difficile come il San Paolo. A volte il calcio è così semplice...


Luis Enriqgma: la mia formazione per Napoli-Roma

Le convocazioni hanno confermato le sensazioni di chi Trigoria, la vive quotidianamente: Gago e Pizarro ancora out. Era nell'aria.

I due infortuni (entrambi al ginocchio) dell'argentino e del cileno facevano ipotizzare l'assenza di almeno uno dei due dalla trasferta di Napoli. Luis Enrique non ne avrebbe messo a repentaglio il prosieguo del loro campionato, affrettando i tempi di recupero sebbene per una gara importante come quella contro il Napoli. Fuori sia Gago che Pizarro, invece. Con le scelte in mediana che si riducono, vista la contemporanea squalifica di Miralem Pjanic.

Per il resto, seconda convocazione consecutiva per Federico Viviani e inserimento nel gruppo anche di Simone Perrotta che pure qualche allenamento lo ha saltato, in particolare quello di venerdì.

Ancora una volta l'ago della bilancia sarà rappresentato da Daniele De Rossi. Con Taddei e Josè Angel che dovrebbero accomodarsi lungo gli out, così come accade sempre quando la Roma affronta un avversario fortissimo sugli esterni (vedi Udinese e Juventus), il quesito rimane: DDR, dopo la prova convincente contro i bianconeri, verrà nuovamente arretrato accanto ad Heinze? A nostro avviso no. Significherebbe giocare nuovamente in emergenza, pur avendo a disposizione un centrale di ruolo come Juan.

De Rossi tornerà nel suo ruolo naturale, quello di playmaker, affiancato da Greco e Simplico, con Viviani che si accomoderà in panchina, carico e pronto a sfruttare la sua occasione.

In avanti dovrebbe essere confermato il tridente visto contro la Juventus (anche per disposizione tattica) con Totti, Lamela e Osvaldo. Il compito sarà anche più arduo: tenere in apprensione il pacchetto napoletano costituito da Aronica, Cannavaro e Campagnaro e sopratutto far tornare al gol un attaccante. L'ultima marcatura di una punta risale addirittura al 5 novembre (gol di Osvaldo a Novara).

Riassumendo, ecco il "mio" undici: Stekelenburg, Taddei, Juan, Heinze, José Angel, De Rossi, Greco, Simplicio, Totti, Lamela, Osvaldo. 

venerdì 16 dicembre 2011

Essere Luis Enrique: viaggio nella testa dell'uomo del progetto


Ecco il mio articolo scritto per la rivista on-line T-Mag. Per leggere l'originale: 

Tutto e il contrario di tutto. Per poi fare ancora qualcosa di diverso, se possibile. Questo Luis Enrique. O meglio, questi alcuni frammenti sparsi della sua personalità, emersi nei primi quattro mesi “italiani”, alla guida tecnica della Roma.
Asturiano nell'indole, catalano nel calcio, innovativo nella mentalità, è arrivato nella Capitale come portatore sano del gioco di un Barcellona divertente e soprattutto vincente, in Spagna e in Europa. Quel che si è dimostrato non solo è praticamente impossibile descriverlo, ma anche decifrarlo. Perché del progetto, anzi dell'idea, per utilizzare le parole del dg giallorosso Franco Baldini, si è persa talmente traccia, da domandarsi se mai fosse esistita. E questo dopo sole quindici giornate di campionato e un'Europa League lasciata ancor prima dell'antipasto. A spaventare non sono la mancanza di punti o la totale assenza di obiettivi a breve e lungo termine, ma la schizofrenia di una squadra della quale non preoccupa la latitanza di una personalità, ma la presenza di multiple. Simili a quelle del suo allenatore. Asturiano, catalano, innovativo.

Una storia controcorrente. Per capire Luis Enrique bisogna prendere in considerazione alcuni mesi precisi della sua vita. Non quelli che lo hanno visto calcare gli stadi più importanti del mondo, tra l'altro passando con la nochalance dei vincenti dalla camiseta blanca del Real Madrid, a quella blaugrana del Barcellona. Nemmeno quelli estivi, caldissimi, del mondiale americano, quando al termine del quarto di finale contro l'Italia, con i tamponi ancora nel naso per la gomitata di Tassotti, si chiuse nel pullman azzurro, da solo, per regolare i conti. E nemmeno quelli del 2011, quando all'apice della sua carriera come tecnico, decise di lasciare il Barcellona B, trasformato nel migliore di sempre, perché deluso dalla possibilità negata di arrivare in prima squadra.
Dobbiamo prendere in considerazione il periodo di mezzo: quattro anni, dal 2004 al 2008, durante i quali Luis Enrique si dedica completamente a se stesso. Lasciato il calcio e la fatica degli allenamenti, si trasferisce con la famiglia in Australia per praticare il surf. Si allena alla maratona, partecipa al “Quebrantaheusos”, letteralmente “Spacca ossa”: una corsa in moto di 205 chilometri da coprire in sei ore. Ha voglia di sperimentarsi, capire chi è e dove può arrivare. E proprio mentre taglia a Firenze taglia il traguardo di una delle prove del Triathlon, gli arriva la “chiamata” del Barca.

Il rapporto con la squadra e i media. Rispettoso del lavoro, seppur presuntuoso, Luis Enrique si propone alla Roma e alla stampa allo stesso modo: ostentando la sua personalità. Nelle settimane del ritiro a Riscone conquista tutti: parla con i ragazzi e con i giornalisti, con l'iPad mostra le sue idee, spiega che la sua squadra non negozierà mai il suo gioco con nessuno, che sarà sempre orientata all'attacco e che annienterà le avversarie in ogni parte del campo. Dopo le sconfitte, pesanti ma in amichevole, contro Paris Saint Germain e Valencia è già sulla difensiva. “Non ho la bacchetta magica” dichiara ad una sala stampa ammutolita, che di lì a qualche settimana lo fisserà il giorno dell'eliminazione dall'Europa League, giocata senza Francesco Totti e con protagonisti due ragazzi giovanissimi in campo e altri che nemmeno erano stati portati in ritiro perché ritenuti fuori dal progetto.
Il resto è storia di oggi: dichiarazioni contrastanti in conferenza stampa (“Juan non è pronto” e poi spedito in campo contro l'Udinese), giocatori buttati nella mischia come manne e poi gettati nel dimenticatoio e una squadra che per ora ha cambiato pelle almeno tre volte. Il tiqui-taca logorroico e inconcludente di inizio stagione, le verticalizzazioni del dopo Roma-Siena, per arrivare al catenaccio della gara contro la Juventus. In mezzo una miriade di cose sacrificate sull'altare di un dio che ancora non si è rivelato, ma che in tanti già hanno provato ad adorare.
Qual è la vera Roma? La sensazione è che questa domanda equivalga a dire: chi è Luis Enrique?

giovedì 15 dicembre 2011

Il mio omaggio a Francesco Totti: il solo e unico Capitano


Qualcuno si è permesso. Qualcuno si è preso la libertà di insultare la Storia. Perché vi piaccia o meno, lo capiate oppure no, Francesco Totti è la storia. Della Roma. Squadra e società. Anche della città, aggiungerei.
Ho voluto aspettare qualche ora prima di prendere posizione verso gli insulti diretti al Capitano, per un calcio di rigore sbagliato (almeno così ci raccontano le cronache odierne). Questa è la mia risposta. Un articolo-omaggio scritto per il suo ultimo compleanno. Credo che queste righe dovrebbero chiarire cosa penso di Totti e di chi lo ha insultato. Ora e per sempre ci sarà solo un Capitano.

Lo so, è strano a dirsi. E forse anche un po' triste a raccontarsi. Ma non c'è momento della mia vita che in qualche modo non sia legato a Francesco Totti.
Vale per tutti i ragazzi romanisti cresciuti negli anni '80 immagino, ma anche per quelli più grandi e maturi. E proprio qui, credo, sta l'immensità del Capitano: capace di mettere d'accordo generazioni e generazioni di persone.

Ubriacato dai ricordi di mio padre che ancora con un certo luccichio negli occhi mi raccontava di un: lancio di Di Bartolomei, cross di tacco di Falcao e gol di testa di Pruzzo, tutto attaccato e senza pause, cercavo di capire qualcosa sul mondo del calcio, che per me parte dai Mondiali di Italia '90 e dalle esultanze, a rivederle buffe, di Totò Schillaci. La Roma di Rizzitelli e Carnevale ma soprattutto di Voeller, Aldair e Giannini la conosco, ma la rammento a sprazzi.

Mentre quel 28 marzo 1993, lo ricordo benissimo.
Seduto sul tavolo della cucina, con un quaderno a quadretti aperto su un qualche problema di matematica, ascoltavo, come tutte le domeniche, la radio, distratto e in apprensione. Proprio Rizzitelli lasciò il posto a Totti, che appena sedicenne esordì in Serie A in una Roma che a Brescia vinceva per 2-0 con gol di Caniggia e Mihajlovic.

Ricordo l'esordio da titolare contro la Juventus in Coppa Italia e in una fredda serata di dicembre, portato allo stadio per festeggiare il mio compleanno. Soprattutto ricordo il primo gol di Francesco Totti in Serie A: a Settembre con l'inizio delle scuole ancora lontano, io e mio fratello eravamo in giardino per la milionesima partita di pallone. Radio sempre al seguito. La rete contro il Foggia la accogliemmo con un entusiasmo fuori dal comune e probabilmente ancora frutto del rilassamento delle vacanze estive.

Il vero amore, però, esplose solo qualche anno più tardi. In un Roma-Milan 3-0 del 1996. E' anche brutto dirlo, perché sulla panchina di quella Roma sedeva un certo Carlos Bianchi che con Totti non ebbe mai un gran rapporto. Ma per noi, che il Milan in quegli anni lo avevamo visto alzare Coppe e Scudetti e spesso venir a maramaldeggiare a casa nostra, quella vittoria ebbe un sapore diverso. E anche un suono diverso: una delle prime partite trasmesse sulla pay-per-view, per di più in anticipo al sabato! Tredici minuti e Totti con un colpo d'anca porta via il pallone ad un Rossi un po' attardato nel rinvio. Il gesto, già di per sé geniale, viene reso epico da un colpo che solo il grande campione può inventare: tocco di prima di esterno destro, con la palla che va ad insaccarsi nell'angolo opposto, rincorsa in maniera quasi incredula da Billy Costacurta.

Lì capii di essere innamorato. L'amore per Totti, per me bambino delle scuole medie, arrivò prima di quello per qualsiasi ragazza e probabilmente durerà anche dopo. Perché è vero, nonostante molti la prendano a battuta, che “nessuna donna mi ha reso felice 262 volte come ha fatto lui”.

Da quel momento in poi è un incrociarsi tra i numeri di Francesco e i miei ricordi. Il gol del 3-3 in un derby fantastico, che mi lasciò respirare per qualche mese, dopo le 4 stracittadine perse di seguito. La rete del 3-1, quella del “Vi ho purgato ancora”, che mi spinse a fare notte per scrivere con un pennarello nero la stessa frase su una maglietta bianca da ostentare a scuola il giorno dopo.

Tutte le reti dello Scudetto, stampate nel cervello come fossero filmati di Youtube, da far ripartire nei momenti più buii e senza attendere il buffering. Il Mondiale di Corea e Giappone guardato invece di preparare gli Esami di Maturità. Il gol nel derby a Peruzzi e quello a Milano in pallonetto a Julio Cesar che mi fece rompere tre o quattro piatti in un ristorante dove lavoravo per pagarmi gli studi all'Università (a proposito, i soldi di quella sera non li vidi mai). 

Il record di undici vittorie, l'infortunio alla caviglia che appresi all'interno di una stanza di Ospedale anche io (tonsillectomia) e per il quale piansi molto più per il suo dolore che per il mio. Il ritorno in campo, la vittoria al Mondiale, durante i cui festeggiamenti gridavo “C'è solo un Capitano”, la Scarpa d'oro, le vittorie a Lione, a Madrid, la sconfitta umiliante di Manchester. 

Catania nel 2008, la Samp nel 2010.

Le critiche immense ricevute al secondo anno di Ranieri, con me a difenderlo e a rischiare il licenziamento per la veemenza con cui facevo scudo, davanti a bocche incompetenti e provocanti di una redazione ormai lontana. Il record di gol tra i calciatori in attività, l'esclusione da Bratislava, i fischi per la sostituzione nel ritorno.

Io c'ero. E Anche lui. Lui c'era, c'è e ci sarà. Proprio come la Roma. Ecco, forse l'amore che nutro per la squadra supera quello per il giocatore, ma da tifoso prima che calciatore, credo che il Capitano capirà.
Tanti auguri di Buon Compleanno, Francè. E grazie di tutto.  

martedì 13 dicembre 2011

Lazio Mirra (Natale in Asturia): Centro Suono Sport for Asturia

E' Natale. Credo sia giusto essere tutti più buoni. Soprattutto con chi si ama. Se non vi è capitato, date un ascolto a questa canzoncina, prodotto della mente malata di conduttori e redattori di Febbre a 90' la trasmissione radiofonica di Centro Suono Sport 101.5. Non credete a chi vi dice che siete salvi: l'Asturia è anche dentro di voi...

Luis Enrique ha imparato a mangiare il pollo con le mani. Ma quale sarà la vera Roma?

Sulla lingua, magari, bisognerà lavorarci ancora un po'. Ma le scorciatoie italiane, quelle, sono già state ampiamente acquisite.

Dopo mesi di nouvelle cousine, piatti dagli ingredienti sconosciuti e salse dai nomi impronunciabili, Luis Enrique ha capito che a mangiare il pollo con le mani, non c'è da vergognarsi. Specialmente se si gioca in casa.

E d'accordo che nell'immaginario collettivo la Juventus è la Vecchia Signora, ma più che una partita di calcio, quella contro i bianconeri è sembrata un matrimonio.

C'era qualcosa di vecchio, Taddei e Jose Angel sulle fasce a bloccare le scorribande di Pepe e Estigarribia come contro l'Udinese, qualcosa di nuovo, la faccia tesa di Viviani e la tranquillità di De Rossi nel giocare da difensore centrale, qualcosa di regalato, entrambi i gol che hanno deciso la partita e anche qualcosa di blu. La fifa della Juventus, che per la prima volta in stagione ha avuto paura di perdere. Le esultanze sotto la curva al fischio finale ne sono evidente testimonianza.

Ci è piaciuta questa Roma stile provinciale abituata a correre sui campi in pozzolana.
E abbiamo anche capito l'impostazione di Luis Enrique alla partita: un 3-4-3 in fase di costruzione, pronto a trasformarsi rapidamente in un 4-5-1 in copertura, con Osvaldo e Lamela chiamati al sacrificio lungo gli out per raddoppiare Jose Angel e Taddei e Totti finalmente unico riferimento del reparto avanzato.
Quello che ancora fatichiamo a comprendere è dove vuole andare a parare questa Roma. E' quella del tiqui-taca di inizio stagione? Oppure quella del possesso palla e delle verticalizzazioni del dopo Parma? O ancora quella tutta muscoli e rabbia della sfida contro la Juventus?

L'unica cosa certa è gli ultimi punti li avevamo racimolati con Totti in campo e proprio il Capitano ha rotto questa serie di sconfitte che rischiavano di diventare interminabili.
Ditelo ad Osvaldo che al momento di lasciare il campo a cinque minuti dal novantesimo ha dato in escandescenza. Un gol di un attaccante manca dal 5 novembre, Novara-Roma. Segnò proprio l'ex Espanyol. Un digiuno forse un po' troppo lungo per chi porta il numero 9 sulla maglia.  

lunedì 12 dicembre 2011

Luis Enriqgma: la mia formazione per Roma-Juventus

E rieccoci di fronte al gioco più bello e stressante della stagione: il toto-luisito.
Nella gara contro la Juventus, le tante assenze, sette per l'esattezza, restringono il campo degli errori, ma accendono anche la fantasia del buon Luis.
Dando per certa la presenza di Daniele De Rossi al centro della difesa e l'esordio in Serie A di Federico Viviani dal primo minuto nel ruolo di play maker, mi giocherei anche la presenza di Erik Lamela, nonostante l'attacco influenzale che ieri l'ha costretto a saltare l'allenamento di rifinitura.
Tornerà il Capitano. E già solo questo varrebbe il prezzo del biglietto, oltre a dirottare Pjanic in mediana.
Ecco la "mia" formazione anti Juventus, sperando per una volta di riuscire ad imbroccarla in toto. Il mio record si ferma ai 10/11 della gara contro l'Udinese.

Stekelenburg, Rosi, De Rossi, Heinze, Taddei, Viviani, Pjanic, Perrotta, Totti, Osvaldo, Lamela.

giovedì 8 dicembre 2011

Real Madrid-Barcellona: il super clàsico ve lo raccontiamo noi!

Il super clàsico! Se sabato dieci dicembre avete voglia di divertirvi con noi, alle 22 collegatevi sui 101.5 di Centro Suono Sport.
Con Gabriele Giustiniani proveremo a raccontarvi le emozioni di una splendida sfida come Real Madrid-Barcellona.
Vi aspetto!

Si cambia look: lo sfondo di Manuel Proietti e tutto quello che del calcio mi ha fatto innamorare

Si cambia look! Da oggi il mio blog ha uno sfondo meraviglioso. Tema portante, ovviamente, il pallone e tutto quello che di questo sport mi ha fatto innamorare.
La Roma, il cuore.
George Best, la fantasia e la ribellione.
Filippo Inzaghi, il cinismo, l'applicazione che va al di là delle qualità, la fame.
Francesco Totti, semplicemente il calcio.
Un ringraziamento sentito a Manuel Proietti, il grafico che ha lavorato a questo splendido wallpaper. Grazie!

lunedì 5 dicembre 2011

Il naufragio del tiqui-taca nella pioggia di Firenze


Di cose brutte viste nella storia della Roma e di questa Roma in particolare, il gol del Tanke Silva forse è la peggiore.

La rete di uno dei giocatori probabilmente più scarsi approdati in Italia dall'apertura delle frontiere, ancora alla ricerca della prima marcatura stagionale, prontamente regalata dalla disastrata banda Luis Enrique, pone il punto esclamativo su una sconfitta che potrebbe dichiarare il definitivo fallimento del progetto asturiano, naufragato nella pioggia di Firenze.

Ci siamo risvegliati sotto un cielo plumbeo, in una giornata uggiosa, a chiederci quanto il nostro umore dipendesse dal temporale e quanto dalla prestazione, inguardabile della Roma. E anche quanto tra i due fenomeni ci fosse un nesso.

Nel dopo gara del Franchi c'è stato anche chi ha avuto il coraggio di dire che era inutile commentare un match del genere condizionato dall'espulsione di Juan. Impossibile dargli torto: sebbene ad indirizzare la partita non sia stato il rosso al brasiliano, ma le scelte ancora una volta cervellotiche di Luis Enrique. L'esclusione di Totti, sommata a quelle di Borriello e Osvaldo, la scelta di due brevilinei come Bojan e Lamela, serviti in continuazioni con cross inutili, un centrocampo orfano di Pjanic, ma rimpolpato con un Perrotta in totale stato di confusione.
Una girandola di cambi folli: dentro Jose Angel e il redivivo Simplicio, fuori Perrotta e Pjanic, con Gago infortunato, già ammonito e che qualche minuto dopo, infatti, si farà espellere.

Più che quelle di un allenatore con un'idea, queste sembrano sostituzioni che fa chi confonde un iPad con un JoyPad.

La nave imbarca acqua, ammiraglio. Faccia una cosa. Trovi il coraggio di tuffarsi e affrontare il mare aperto. Nessun gommone di salvataggio, per lei. Quelli servono a noi.

domenica 4 dicembre 2011

Luis Enriqgma: la mia formazione per Fiorentina-Roma

Lo so. Luis Enrique non ha convocato Borriello. Questo è l'incoveniente di dover consegnare la formazione il venerdì, con un allenamento ancora da valutare. Voglio essere coerente, però, e confermare l'undici annunciato durante Febbre a 90', trasmissione radiofonica in onda tutti i giorni dalle 14 alle 16 sui 101.5 di Centro Suono Sport.

Partiamo dalla difesa: il nodo da risolvere è ovviamente quello legato alla fascia destra. Senza Rosi, infortunato, e con Cicinho convocato, ma mai troppo amato da Luis Enrique, credo che il tecnico asturiano opterà per Perrotta esterno basso. Non sarebbe intelligente confermare la coppia Taddei-José Angel, che non ha proprio brillato a Udine. Il brasiliano, però, in un ottimo stato di forma, si assesterà a sinistra, per controllare le scorribande di Vargas. Al centro obbligata la scelta di Juan, mentre l'altra maglia dovrebbe prendersela Cassetti, con Heinze ancora una volta relegato in panchina. Tutto questo se Luis Enrique deciderà di essere coerente con quanto fatto vedere in queste settimane.

A centrocampo dovrebbero accomodarsi Gago, De Rossi e Greco, spesso presente nelle sfide esterne dei giallorossi. Il romano avrà il compito di andare a prendere Montolivo, vero costruttore di gioco dei viola.

Davanti Pjanic, dovrà nuovamente ricoprire il ruolo di trequartista, ponendosi alle spalle di Lamela (anche se inizialmente credevo ad un impiego di Borriello, nemmeno convocato) e Bojan. Le opzioni in attacco per Luis Enrique sono davvero ridotte al lumicino. Totti è l'unico big in panchina, difficile che il tecnico se lo giochi dal primo minuto, spostando Pjanic in mediana. Significherebbe rinunciare ad un'alternativa nella ripresa. Ci sarebbe anche Caprari, è vero, però, il giovane calciatore classe '93 non sembra avere ancora i numeri per far male in Serie A.

Dunque, per me contro la Fiorentina, la Roma si schiererà così:

Stekelenburg, Perrotta, Cassetti, Juan, Taddei, Gago, De Rossi, Grego, Pjanic, Borriello (Lamela), Bojan

lunedì 28 novembre 2011

Il progetto della Roma? Una nave pirata...


La Roma non sa fare il salto di qualità. La Roma rimane adolescente. La Roma non cresce. La Roma soffre di vertigini.

Ma ne siamo proprio certi? Siamo sicuri che il nostro principale problema sia non riuscire a prendere questa benedetta maturità?

Perché la vertigine non sarà paura di volare, ma nemmeno voglia di strusciare il mento sull'asfalto. E poi come si fa a soffrire di vertigini quando da inizio stagione si vive al secondo piano in 50 metri quadri con vista sul cortile?

La verità è che il progetto Roma non è nemmeno paragonabile ad un aereo, ma molto più simile ad una nave. Quella Pirata del Luna Park. Un'altalena, di risultati e emozioni.

Quando si va in alto si è felici e ci si sente padroni del mondo, ma quando si imbocca la discesa non si sa mai quando terminerà e soprattutto quanto in basso ti porterà.
L'impressione è che il movimento della barca non siamo noi a deciderlo, ma una forza esterna, indipendente dalla nostra volontà. Decisa probabilmente dalla voce fuori campo che ci racconta quello che sta accadendo, su un sottofondo di musica da discoteca. La stessa sulla quale Armero e Isla, ballando, hanno festeggiato il 2-0 dell'Udinese, prendendosi gioco del nostro divertimento.

Se almeno la barca affrontasse le onde per arrivare da qualche parte, potremmo farcene una ragione.
Se sapessimo che tra mille difficoltà, l'inevitabile balia dei venti, la lenta, desiderata e sospirata spinta del mare, alla fine il porto, anche dopo mesi, sarebbe il nostro definitivo approdo, allora potremmo anche goderci il viaggio. Sapendo che tanto è più lunga l'attesa, tanto più grande sarà il risultato.

Macché: il movimento della nostra nave pirata è solo un'impressione. Un gesto meccanico, identico e uguale, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Un'ondulazione che oltre al mal di mare, non porta nient'altro.

Preferiremmo un passatempo più statico. Non necessariamente all'interno di un ring.

venerdì 25 novembre 2011

Semplicemente Il Migliore. The Best. George Best


Quando si vive sempre di corsa, senza un domani, come fosse un eterno, infinito presente, il minimo che può succedere è di arrivare al traguardo senza nemmeno accorgersene.

Un dribbling immortalato sulla copertina di un tabloid patinato. Questa la vita di George Best. Solo colpi ad effetto, sole prime pagine. Solo numeri da fuoriclasse.

I compagni di squadra provano ad affermarsi Premier League e in Europa? Lui a soli 22 anni alzava praticamente da solo la Coppa dei Campioni e vinceva il Pallone d'oro.

I calciatori si sposavano con donne bellissime? Lui aveva al proprio fianco Miss Mondo.

In Inghilterra scorrevano fiumi di alcool? Lui si ubriacava tutte le sere, dormiva sul lettino dell'infermeria e arrivava al campo di allenamento con una pelliccia di visone e un sacco pieno di sterline.

Il mondo provava a comprendere il fenomeno Beatles? Lui ne divenne parte, il quinto Beatles lo chiamavano, e non per i capelli lunghi o i basettoni, ma perché quando correva in campo lasciava una scia di musica. Di rivoluzione.

Primo in tutto, dal trasferirsi in America, nella Major League, pur di non vestire una maglia diversa da quella del Manchester United, allo smettere di giocare a calcio a soli 29 anni. E' stato anche il primo ad andarsene.

Sei anni fa. Nessuno addio doloroso o rumoroso. Se n'è andato come si lascia una festa. Improvvisamente. Senza nemmeno salutare. Lasciandoti appoggiato alla parete, drink in mano, a ripensare a quanto era simpatico e affascinante quel tipo con una maglia rossa a maniche lunghe tirata oltre le dita. A sorridere dei suoi numeri.

"Ho speso tutti i miei soldi in alcool, donne e automobili veloci. Tutto il resto l'ho sperperato". Semplicemente il migliore. The Best. George Best.  

lunedì 21 novembre 2011

Roma non fare la narcisa. Non affogare specchiandoti...


Non per fare facili parallelismi con la politica, ma in Italia e soprattutto a Roma sembra essere un ottimo momento per la sinistra. La fascia, ovviamente.
Il solito scuotersi di ampolle e sbuffare di alambicchi attraverso i quali Luis Enrique, il piccolo chimico asturiano, schiera il suo undici titolare, delle volte ha il pregio di azzeccare le scelte. Quelle che poi, al novantesimo, ti accorgi che hanno un peso specifico enorme sul risultato finale.
Una di queste è l'idea di inventare Taddei terzino sinistro. L'out mancino, terra di conquista per quasi tutti gli avversari giallorossi, non solo appare blindata come la zona verde della Roma ecologica domenicale, ma si trasforma in una Cassiopea di occasioni da gol. Non a caso l'1-0 di Pjanic arriva proprio da un cross di Taddei, ma anche le altre principali azioni da rete: molte sprecate da Bojan.

Proprio la prestazione del folletto ex Barcellona, appare iconografia perfetta delle mancanze giallorosse. Una in particolare: il cinismo. Il risultato maturato durante la gara contro il Lecce è stretto solo per la poca concretezza sotto porta.

Certo. C'è un gol di Osvaldo che grida, in maniera quasi straziante, vendetta, ma per questo bisogna chiedere spiegazioni al guardialinee Carrer. La parola più nominata nella Capitale in questo lunedì di novembre.
Dopo quello di Meggiorini un altro meraviglioso gol in rovesciata contro il Lecce, regolarissimo, viene annullato.

Udinese, Fiorentina, Juventus, Napoli e Bologna. I prossimi trenta giorni saranno lo specchio, capace di riflettere il futuro della nostra stagione. La speranza è che questa Roma non sia tanto narcisa da ammirare la propria bellezza nel lago e morire anneggata. Non sarebbe un suicidio, ma un omicidio. Quello di un'annata che rischia, suo malgrado, di tramutarsi in qualcosa di importante.

mercoledì 9 novembre 2011

Reja contro Lucho. Uno è lento, l'altro rock


Uno è lento, ma è in testa alla classifica. L'altro è rock, e sempre nella bufera delle polemiche. Uno è l'allenatore più vecchio ad aver conquistato il primato della Serie A, l'altro, dopo l'esonero di Sinisa Mihajlovic è l'unico tecnico straniero rimasto nel massimo campionato italiano.

Diversi in tutto Edy Reja e Luis Enrique, sembrano aver scelto, non a caso, due delle panchine più distanti del mondo calcistico: per rivalità e mentalità.

Da calciatore Reja ha giocato sempre per squadre di secondo piano, come Spal, Alessandria e Palermo, chiudendo addirittura con i dilettanti del Molinella e vivendo una carriera molto meno importante rispetto ai compagni che con lui avevano seguito l'iter delle giovanili, Fabio Capello su tutti.

Luis Enrique, al contrario, ha vinto tutto quello che c'era da vincere e da protagonista. Partito bambino dallo Sporting Gjon, ha giocato per le due squadre più blasonate della Spagna: il Real Madrid e il Barcellona, partecipando a manifestazioni importantissime. Ha disputato tre mondiali di calcio, tre europei, un'Olimpiade, conclusa con un oro, diverse Coppe Uefa e Coppe delle Coppe. Senza contare le presenze in Champions League. Ha lasciato nel 2002 al massimo della condizione atletica e fisica, scegliendo la famiglia e il surf in Australia alla fatica degli allenamenti, dedicandosi completamente alla maratona e allo spaccaossa: una corsa in moto nel deserto africano.
La chance per fare l'allenatore gli arriva solo sei anni dopo nel 2008: Lucho è a Firenze per provare a battere il suo record nella corsa, quando il Barcellona che ha promosso Pep Guardiola in prima squadra, lo chiama per allenare la formazione B. Resterà in blaugrana tre anni, prima di passare alla Roma, in Serie A.

Edy Reja, invece, è partito dal basso. Proprio dal Molinella in Serie D, formazione con la quale aveva chiuso la sua carriera da calciatore nel 1979, anno in cui Luis Enrique, comincia ad indossare la maglia dei Giovanissimi dello Sporting Gjon.
Allena in tutte le categorie, raggiungendo la promozione in Serie A sul campo nel 1997 con il Brescia. Ci riuscirà altre tre volte: con il Vicenza nel 2000, il Cagliari nel 2004 e il Napoli nel 2007. Proprio alla guida dei partenopei sarà esonerato nel 2009, costretto a ripartire dalla Croazia e dall'Hajduk Spalato per ritagliarsi uno spazio nel calcio conta. Nel Gennaio del 2010 lotito gli affida la Lazio disastrata del dopo Ballardini per provare a rimetterla in moto. Ci riesce, in poco meno di due anni, la porta ad un passo dalla qualificazione in Champions League e poi al primato in classifica sebbene con una gara in più.

Oltre che nella storia della loro carriera Reja e Luis Enrique sono diversi anche nel modo di giocare. Nell'età delle loro squadre.
La Lazio è una squadra esperta, per non dire vecchia, che fa del contropiede la sua arma migliore. Cinica, che sa accontentarsi del pari, quando ce n'è bisogno.
La Roma è una squadra giovane, per non dire svagata, che ha nella sua qualità migliore anche il suo punto debole: il giocare sempre all'attacco, contro qualsiasi avversario,.

Ecco, magari se riuscissero a rubare l'uno qualcosa dall'altro probabilmente ne gioverebbero entrambi. Cosa impossibile, visto il carattere acceso dei due protagonisti. Nel frattempo si sono sprecati i paragoni: è il tecnico più vicino a Maestrelli, si dice nell'ambiente biancoceleste. Ricorda il primo Eriksson, rispondono da quello giallorosso.

La verità è che Reja e Luis Enrique non hanno sosia. Sono così come sono. Prendere o lasciare. Uno è lento e l'altro è rock. Generi che hanno appassionati diversi.

lunedì 7 novembre 2011

La magia delle cose semplici


L'insostenibile leggerezza delle cose semplici. Perché in fondo non c'è gusto a fare in campo, quello che si è provato a Trigoria. Manca la sorpresa. Manca la passione. Soprattutto quella della tifoseria, costretta al solito sabato di sofferenza.

Perché mettere in campo la formazione migliore, quella più naturale, quando puoi soffrire per un'ora, mostrare una sterile supremazia territoriale e poi rischiare di prendere gol sulla solita maledizione del calcio d'angolo che ci perseguita dal dopo-Capello.

Dov'è la suspance, il famoso coupè de theatrè? Non è divertente mettere al sicuro il risultato il più rapidamente possibile. Bisogna attendere gli ultimi venti minuti, sistemare la squadra come la logica vorrebbe e segnare due gol. Allora sì che c'è gusto ad esultare.

In fondo il calcio è semplice: schierare i giocatori al proprio posto, a fare le cose che sanno fare, migliora la prestazione e avvicina al risultato.

E' evidente che la semplicità non sia del tiqui-taca o della filosofia calcistica di Luis Enrique. O meglio, è evidente che bisogna prima complicare le cose e poi provare a semplificarle. Probabilmente il segreto è tutto qui e c'è chi, ingenuo, ancora non l'ha capito.

La gara di Novara ci ha portato qualcosa di molto vicino al terreno del Silvio Piola. Tre punti sintetici. Belli e utili, per carità. Ma per la naturalezza bisogna aspettare.  

lunedì 31 ottobre 2011

Dove sta scritto che "Chi tifa Roma non deve perdere la pazienza mai?"


“Chi tifa Roma non perde mai”. Sarà così. Ma dov'è scritto che “chi tifa Roma non deve perdere la pazienza mai”?

Nonostante un conto in rosso da diversi mesi, nessuno ha protestato quando gli è stato chiesto di aprire una linea di credito, di fiducia nei confronti del nuovo progetto. Pardon, dell'Idea.

E' stata chiesto di aspettare. E' stata chiesta complicità. E tutto è stato dato, accompagnato dal solito, infinito, amore, che solo i tifosi della Roma sanno trasmettere alla propria squadra.

Un amore che paradossalmente è aumentato. Nutrito da sconfitte e sofferenze. L'eliminazione dall'Europa League, un derby perso ben oltre il novantesimo e una classifica che fa venire i brividi. In mezzo a tutto questo un progetto giovani cancellato molto prima dell'inizio delle scuole, uno stile di gioco modificato con la velocità con cui ci si cambia d'abito e un possesso palla che sembra un frustrante e eterno corteggiamento.

Si parla sempre di quello che sarà, della Roma che verrà, delle vittorie che arriveranno. Ma il presente? Di quello che sta avvenendo ora, chi se ne preoccupa? Forse neanche i dirigenti, che continuano a declinare i verbi solo al futuro.

E' tempo che tutti si prendano le proprie responsabilità.
La società, che esasperando il passaggio di mano ha rallentato il processo di crescita di questa squadra.
Il tecnico che ha scelto 12 formazioni diverse, in 12 gare, schierando ben 28 giocatori, salvo poi far sapere che la rosa è troppo ampia
I calciatori che devono mostrare maggiore concentrazione, ma soprattutto più grinta e cattiveria.

Sono passati quattro mesi dall'inizio di questa rivoluzione culturale e per ora l'unica cosa a cambiare è stato l'approccio del tifoso alla squadra, vista come un oggetto misterioso, del quale si intuiscono le potenzialità, senza ancora aver capito se siano positive o negative.
Noi rimaniamo seduti sulle nostre poltroncine: sciarpa al collo e cuore pieno di speranza, in attesa che la partita cominci per davvero.


venerdì 28 ottobre 2011

Le sconfitte? Frutto di un esperimento morto in culla


Dieci gare in stagione. Otto di campionato e due di Europa League. E ben quattro sconfitte. Il 40%. Poco meno della metà delle partite giocate. Risultato: l'eliminazione dalla competizione europea e nove punti persi in classifica.

In una Roma che non possiede gemelle e che non è mai uguale a sé stessa, non solo da una gara all'altra, ma da un tempo all'altro, da un minuto all'altro, abbiamo cercato un ideale filo rosso che collegando le quattro sconfitte stagionali, se non spiegarle, provi almeno ad individuare le cause dei tanti bocconi amari ingoiati dai tifosi giallorossi.

Evitando di concentrarci su Slovan Bratislava-Roma, frutto di un esperimento morto in culla, sono le tre sconfitte in campionato da analizzare per provare a capirci qualcosa in più: Roma-Cagliari 1-2, Lazio-Roma 2-1 e Genoa-Roma 2-1. Stesso risultato, stesso numero di punti. Zero.

Considerando che luis enrique ha utilizzato 28 giocatori e dieci formazioni diverse in dieci gare , in queste tre partite qualche punto fermo si può individuare.

Innanzitutto la presenza in porta di Stekelenburg, quella di De Rossi, Osvaldo e Bojan, ma soprattutto la disposizione di 3/4 della difesa giallorossa. Perché se nel ruolo di esterno destro si sono alternati nell'ordine Cicinho, Rosi, Perrotta e Cassetti (e a Genova anche Burdisso), la Roma ha sempre perso con in campo la coppia centrale tutta argentina Burdisso-Heinze e José Angel terzino sinistro.

Dei sei gol subiti, tre sono arrivati per vie centrali: quelli di Conti, Klose e Jankovic; uno lungo l'out di sinistra, quello di El Khabir; e due su calcio piazzato: il rigore di Hernanes e il tocco fortunoso di Kucka su assist di Merkel.

Interessante anche il dato ricavabile dal minutaggio. La metà delle reti subite è arrivata a cavallo del triplice fischio finale: El Khabir 87', Kucka 90' e Klose 93', mentre quello di Jancovic è stato l'unico gol subito dalla Roma nel primo tempo in tutta la stagione.

Voglia di vincere? Di non accontentarsi del pari? Incapacità di gestire il pallone e voglia di attaccare insita nel DNA? Probabilmente è impossibile rispondere.












lunedì 24 ottobre 2011

Ciao Sic! Il ricordo di Febbre a 90'

Il nostro saluto a Marco Simoncelli. Ciao Sic!


La vita corre su un filo sottile. Lo stesso che idealmente collega la Malesia alla Malesia. Perché quando a Sepang, circuito che ti ha regalato la gioia più grande della tua vita, il titolo 250, la perdi la vita e per lo sport che per te rappresenta la vita, ecco che la parola destino sembra assumere un significato più chiaro.

Soprattutto se consideri che coinvolto nell'impatto c'è chi rappresenta qualcosa in più di un semplice collega: Valentino Rossi, il tuo idolo di sempre, tuo fratello maggiore, quello che a cavallo di un minimoto a soli 13 anni, imitavi sognando di diventare come lui. Lo stesso che quando cominciavi a correre con i grandi, si sedeva sul muretto del Mugello e si divertiva a vederti sfrecciare in 125, lanciandoti qualche battuta in romagnolo.

Marco Simoncelli se n'è andato in maniera diametralmente opposta rispetto al suo vivere. In silenzio, senza far rumore quasi. In seguito ad uno schianto, ma non dei più spettacolari, lui, invece, che spettacolo regalava sempre, in ogni gara. In ogni dichiarazione. Persino in ogni cosa che faceva. Anche nel taglio di capelli, una delle cause principali del suo odio per la Malesia. Il caldo lo faceva sudare maledettamente sotto il casco, diventava una maschera madida al termine della gara. Impresentabile alle telecamere al momento dei festeggiamenti.
Forse anche per questo il destino ha deciso di farglielo volare via. Per lasciarlo mostrare al mondo i suoi riccioli ribelli. Per fagli salutare la pista, la sua vita, con un bacio.

Ciao Sic e perdonaci se in questo momento non riusciamo ad onorare il tuo soprannome ma soprattutto il tuo stile di vita: “sbattersene i coglioni”. Ci è impossibile farlo, perché ad andarsene è stato uno di noi. Non uno di quelli che ammiri in tv o suoi giornali e non senti per niente vicino. Uno come te.
Buon viaggio Sic e se puoi attraversa la strada impennando. Tanto per far capire che anche lì, dal momento del tuo arrivo, la musica sta per cambiare.