Spread, valori di borsa,
tasso di inflazione, costo della benzina e prezzi delle case. Ci sono
indici diversi per valutare le condizioni reali di un paese. Il
trattamento riservato alla Bandiere.
Una nazione, viva e
vitale, le lascia sventolare. Le annuncia con una fanfara. Le ostenta
con malcelato orgoglio. Le guarda con rispetto e con un pizzico di
malinconia. Se il tempo le confonde, interviene e le scioglie, le
libera. Permette loro di proseguire in un continuo e incalcolabile
lavoro. Se ferita, le abbassa. Le pone a mezz'asta, a mostrare che il
dolore non è di un singolo componente, ma della comunità intera,
della quale la bandiera rimane rappresentazione precisa.
Vecchie, sfilacciate,
forse anche sbiadite, non vanno ripiegate. Gli va concessa la
possibilità di decidere quando smettere e, nel caso, di annunciarlo.
Per rispetto, più che per affetto. Un comportamento civile, più che
umano.
E la cosa avviene in
quasi tutti gli ambiti professionali.
Ai giornalisti in
pensione, che, per anni, hanno riempito pagine e pagine di
quotidiani, viene riservata spesso una rubrica. Un angolo, una
colonna, più o meno ampia, all'interno della quale continuare a dar
valore alle parole: per capacità e esperienza. Anche solo per il
gusto di riprendere in mano la penna e darle lustro.
I professori universitari
continuano a muovere il gesso sulla lavagna, il dito sui libri e gli
occhi sulle tesi fino a quando ne hanno voglia. E anzi, più stagioni
possono contare sulle loro mani, più si accresce il loro valore.
La cosa avviene in quasi
tutti gli ambiti professionali. Ma non nello sport. Nel calcio in
particolare. Una macchina spaventosa, un ingranaggio che, come
moderni Charlie Chaplin, schiaccia chiunque non ha voglia di
adeguarsi. O semplicemente è diventato un po' più lento.
E come spesso accade
quando qualcuno comincia a togliere, con sapienza, sassolini da quel
muro che costruito di notte, ci impedisce di vedere al di là della
strada, la frana è arrivata puntuale e fragorosa. O forse,
semplicemente, ci abbiamo fatto più caso.
Il primo a parlare è
stato Paolo Maldini: “Il Milan non mi vuole”, ha gridato dalle
pagine del giornale sportivo più importante d'Italia. Un'icona
rossonera, capace di passare indenne attraverso tutte le epoche della
squadra meneghina, improvvisamente messo da parte. Addirittura
schifato dai tifosi.
E che dire di Alessandro
Del Piero, calciatore e professionista esemplare che all'apice della
sua carriera, ovvero all'indomani della vittoria di un Mondiale,
decise di seguire la Juventus in Serie B? Amore della maglia?
Rispetto per i colori? Mettetela come credete sia meglio: il fatto
non cambia. Avrebbe dovuto avere un saluto più degno e soprattutto
avrebbe dovuto scegliere lui il momento per annunciare il suo ritiro.
Non meritava le quattro fredde parole di Andrea Agnelli, presidente
della Juventus, ma solo per discesa dinastica.
L'eccezione, però,
esiste. E' viva, reale. Quasi immortale. E si chiama Francesco Totti.
Dato per finito centinaia di volte, il capitano della Roma ha saputo
farsi spazio. Sempre. Per capacità e grande intelligenza. Ha saputo
continuare a sventolare. Il suo popolo lo ha difeso, anche
violentemente quando qualcuno, tanti a dire la verità, si sono
arrampicati e a braccia tese hanno cercato di strapparlo via dalla
sua asta. Non ci sono mai riusciti. E come premio i tifosi
giallorossi hanno ricevuto tanto. L'ultimo regalo è stato il gol 211
che ha portato Totti, di diritto, al primo posto tra i bomber più
prolifici della Serie A con la stessa maglia. Sbaragliando il record
di Nordhal, campione svedese degli anni '50, che durava da 53 anni.
Un'eternità.
Questo è il motivo per
cui l'abbraccio tra Totti e Del Piero, nell'ultimo Juventus-Roma che
probabilmente li vedrà l'uno contro l'altro, a darsi battaglia
fascetta al braccio, è stato così malinconico.
Per sempre Bandiere. Per
sempre liberi di sventolare.
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