Spiegare Lionel Messi
sarebbe come tentare di spiegare la gioia che si prova nel vedere un
pallone rotolare lungo un prato verde. Se per la gara di un Mondiale
o per una semplice scampagnata tra amici, non ha importanza. Quando
una sfera si mangia in velocità il terreno, che sia di erba,
pozzolana o asfalto, produce una sola sensazione: felicità.
Chi non ama il calcio non
può capire. Come spiegare a qualcuno che non ha mai annoverato il
pallone tra le proprie fedi (esatto, non passioni!), che esistono
diversi modi di esultare e diversi tipi esultanze? Si può gioire per
un gol della propria squadra. Per quello di un'altra su un campo
differente. Addirittura per quello di un giocatore di una formazione
avversaria, che non ha mai vestito, e probabilmente mai vestirà, la
tua maglia.
E' impossibile farlo.
Come cercare di spiegare Lionel Messi.
Guardando giocare il
talento argentino, si ha una sola impressione. Che a tratti sfiora
addirittura la blasfemia. Messi è il calcio fatto persona. E non lo
diciamo forti del fatto che il fantasista blaugrana ha raggiunto, in
soli dieci anni di carriera (otto ad alti livelli) il suo terzo
pallone d'oro consecutivo. Impresa, in passato, riuscita solo ad un
certo Michel Platini. Uno che, non a caso, chiamavano Le Roi,
il re. Ma perché la sua storia, come quella di ogni predestinato,
sembra avere un motivo preciso in ogni istante. Somigliando più ad
una fiaba, che ad una leggenda.
Messi comincia a giocare
a calcio a cinque anni, nel Grandoli, la squadra allenata dal padre.
E' il più piccolo della rosa, ma anche il più forte. Tre anni dopo
passa al Newell's Old Boys. Tocca la palla come nessuno e, nonostante
la sua statura, salta avversari come birilli, meritandosi il
soprannome di Pulga, la pulce. Epiteto che non lo lascerà
mai.
Messi segna. Segna
ancora. E se può, lo fa di nuovo. Così come qualche osservatore,
che allo stesso modo continua a segnare il suo nome su un taccuino.
Un numero talmente alto di volte, da rendere necessario un provino.
E' partita la caccia al nuovo Maradona. Tutti i più importanti club
argentini vogliono strappargli un contratto.
Come spesso accade, però,
il sogno vira improvvisamente, tramutandosi in incubo. Il ragazzo non
cresce e i genitori cercano di capirci qualcosa in più. Gli viene
diagnosticato l'ipopituitarismo, tecnicamente una deficienza
di secrezione di somatotoprina. Il rischio concreto è il nanismo.
Servono cure costose e immediate. La folla che sarebbe stata pronta a tutto per accaparrarsi il nuovo fenomeno, si fa da parte. Compresi
River Plate e Boca Juniors. Rimane in piedi una sola strada. La più
folle e dunque anche la più percorribile. Quella che porta in
Europa. E' il Barcellona a credere in lui, caricandosi di tutte le
spese: il cartellino, il trasferimento, suo e della famiglia, e le
necessità mediche. Messi approda in Spagna e firma il suo primo
contratto in blaugrana il primo marzo 2001. Su un tovagliolo, sul
cofano della macchina del ds Carles Rexach.
Il resto è storia di
oggi. E lo racconta una bacheca, talmente piena, da sembrare colma.
Salvo poi, ogni anno, trovare spazio per qualche altro trofeo. Cinque
campionati spagnoli, una Coppa di Spagna, cinque Supercoppa di
Spagna, tre Uefa Champions League, due Supercoppa Europee, due
Mondiali per Club, un oro Olimpico e un Mondiale Under 20. In mezzo
tanti di quei titoli individuali da mettere i brividi.
“Non sarà mai come
Maradona. Pele. Cruyff. Van Basten. Ronaldo. Totti”. Come termine
di paragone, metteteci chi vi pare. Il senso non cambierà. Avranno
ragione tutti. E nessuno.
Questo è l'ennesimo lato
bello del calcio: chiunque può parlarne, senza timore di smentita.
Il pallone è lo sport più popolare che esista: bastano due sassi e
una sfera di cuoio e si può dar inizio alla festa. Nessun'altra
attività potrà somigliargli. Provate a giocare a basket, o a
tennis, oppure a pallavolo con le sole cose che avete indosso. Non ci
riuscirete mai.
Il calcio è bello. Così
come lo è Lionel Messi. Ma come capirlo, se non lo si vive sulla
pelle?
Un'enigma, però, il
talento argentino sembra averlo risolto. E con grande facilità. Come
può un ragazzino nato piccolo e condannato a restarlo per
l'eternità, guardare tutti dall'alto al basso? Semplice. Salendo sul
gradino più alto del podio. Sempre.
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